Chi legge il Fatto dal 2009 sa con quanta passione e costanza ci siamo sempre occupati della trattativa Stato-mafia. Non perché siamo dei fissati o “l’organo delle procure”, come scrivono i fessi. Ma perché ce lo impone la nostra linea politica: la Costituzione del 1948. Quella che è stata calpestata – insieme alle tombe dei magistrati, degli agenti di scorta e dei cittadini caduti o feriti a Palermo, Firenze, Milano e Roma fra il 1992 e il ‘ 93 – da politici traditori e da alti ufficiali felloni. Gentaglia che piangeva ai funerali di Stato e intanto trescava con chi aveva seminato terrore e morte. Fingeva di indagare, e intanto depistava. Fingeva di pretendere tutta la verità, e intanto la nascondeva. La nostra battaglia per informare i cittadini è stata spesso solitaria. Ci siamo beccati querele, cause milionarie per danni, ironie, insulti.
Ora che l’audizione del capo dello Stato ha costretto la grande stampa a occuparsi della trattativa col giusto risalto, ci toccano pure le lezioncine dei tuttologi del nulla, i quali ci spiegano che dai, su, in fondo si sapeva tutto, non c’è nessuna novità, siamo uomini di mondo, abbiamo fatto tre anni di militare a Cuneo. La verità, cari professorini, è che non si sapeva un cazzo. O meglio, sapevamo molte cose noi che le cercavamo e le scrivevamo, ma i cosiddetti servitori dello Stato facevano carriera a botte di “non so” e “non ricordo”, almeno finché qualche mafioso (Brusca, Spatuzza, Mutolo) o figlio di mafioso (il famigerato Massimo Ciancimino) non svelava altarini che li obbligavano a ricordare. Ciancimino dice che il padre Vito pretese “garanzie politiche” prima di trattare con Riina per conto del Ros: non solo dal ministro Mancino, ma anche dall’opposizione tramite Violante. A quel punto Violante si batte una mano sulla fronte inutilmente spaziosa e corre a Palermo a rivelare, con appena 17 anni di ritardo, che nell’estate ‘ 92 venne da lui Mori a proporgli un incontro top secret con don Vito. E lui, presidente dell’Antimafia, non pensò d’informare i magistrati. Però, del fatto che Ciancimino voleva parlare, avvertì il presidente della Camera Napolitano. Ma questo Violante s’era scordato di dirlo, e pure Napolitano, almeno finché i pm non gliel’han chiesto martedì, nella testimonianza “inutile”. Inutile perché “si sapeva già tutto”. Anche che le stragi del ‘ 93 erano opera dei corleonesi per ricattare lo Stato sul 41-bis. Peccato che nessuno l’avesse detto, anzi: il Cesis creò un tavolo fra tutte le forze di polizia e di intelligence per partorire un’informativa che ipotizzava, oltre alla pista corleonese, quelle dei poteri occulti, dei palestinesi, dei serbi e dei narcos. Mancavano solo i venusiani.
Guardacaso tre mesi dopo il ministro Conso levò il 41-bis non ai detenuti serbi, o palestinesi, o narcotrafficanti, o venusiani: ma a 334 mafiosi. Il Sismi intanto aveva scoperto che il ricatto mafioso passava anche per due progetti di attentato ai presidenti delle Camere, Napolitano e Spadolini, già avvisati dalle bombe contro due basiliche che portavano i loro nomi (San Giorgio e San Giovanni). Scorte rafforzate, misure di sicurezza eccezionali, allarme e riunioni in Parlamento, al Viminale, alla Difesa, ai servizi. Tutti sapevano, dai, su. Però ai pm di Palermo che da anni si spaccano la testa per indagare su quel ricatto allo Stato, nessuno era andato a raccontare nulla. Né Mancino, allora ministro dell’Interno, né il Sismi, né lo stesso Napolitano. Manco una telefonata. Han dovuto scoprirlo da soli, il rapporto del Sismi, ben nascosto in un fascicolo archiviato a Firenze, e andarselo a prendere il 15 ottobre, vigilia della visita al Colle. A quel punto Napolitano s’è battuto una mano sulla fronte inutilmente spaziosa e ha risposto che sì, ora gli tornano alla mente l’allarme di attentato, la visita di Parisi, la scorta rafforzata e tutto il cucuzzaro.
D’altronde mica è Pico della Mirandola: di progetti di attentato lui ne subisce due o tre al giorno, non è che possa ricordarseli tutti. E poi, nel giro dei politici, queste cose si dicevano. Ma è meglio che le sappiano solo i politici, che quanto a omertà sono molto più affidabili e impenetrabili dei mafiosi. I magistrati e i cittadini, invece, sono sempre gli ultimi a sapere. Come i cornuti.
il Fatto Quotidiano, 31 Ottobre 2014