Se solo qualche mese fa mi avessero detto che un giorno avrei rimpianto Simona Ventura, probabilmente avrei richiesto un Tso d’urgenza per il mio bizzarro interlocutore. Ma se me lo avessero detto sul serio, oggi avrei dovuto fare visita al mio interlocutore in clinica, chiedendogli umilmente scusa.
Quando, qualche tempo fa, Sky aveva annunciato che la Ventura non avrebbe più fatto il giudice di X-Factor, la mia residuale componente radical chic aveva esultato: “Era ora! Adesso il talent di SkyUno avrebbe spiccato il volo nel firmamento della qualità”.
Ebbene, ho compiuto un grave e imperdonabile errore. Ho dimenticato che X-Factor, prima di essere l’appuntamento fisso del giovedì sera della gente che piace e che si scatena su Twitter, è uno show televisivo. E l’ottava edizione, nonostante gli ascolti più che soddisfacenti, non funziona granché. C’è qualcosa che non va nel meccanismo, anche se non riesco ancora a capire cosa.
Di sicuro c’è un cast stanco, a cominciare dal conduttore Alessandro Cattelan, che quest’anno mostra un evidente calo di entusiasmo. Mika, invece, dopo l’exploit televisivo dello scorso anno, non rappresenta più una novità e come giudice, e lo avevamo capito già dalla settima edizione, lascia alquanto a desiderare.
Sui nuovi giudici Victoria Cabello e Fedez va invece fatta una importante distinzione. Il rapper milanese funziona, sia come giudice che come personaggio televisivo. Ha messo insieme una squadra fortissima e le scelte dei brani denotano una salutare paraculaggine, assolutamente necessaria in un format del genere.
Perché, dunque, sento una insana mancanza di Simona Ventura? Perché, ci piaccia o meno, l’ex regina della televisione conosce il mezzo a menadito e lo padroneggia con una sfacciataggine apprezzabile. Spesso eccessiva, tendente al trash, strabordante nel suo ego ferito da nobile decaduta del piccolo schermo, SuperSimo aveva comunque il merito di mettere un po’ di pepe nella narrazione televisiva, con tempi perfetti e colpi di scena che facevano bene allo show.
Quest’anno, invece, stiamo assistendo a un programma pieno di tempi morti, senza acuti, con scelte musicali da fighetti. In fondo il confronto tra la Ventura e la Cabello è anche il confronto tra due diversi approcci alla mondanità tipicamente milanese. Simona rappresenta il passato festaiolo, l’Hollywood, la movida cafonal dell’era Mora-Corona; Victoria è invece la frontwoman del sushi bar, di una nuova e più gnegne socialità meneghina, a uso e consumo di chi forse si prende un po’ troppo sul serio e balla pericolosamente sul filo, sospeso tra leggerezza televisiva e pesantezza salottiera.
Intendiamoci: nessuno rimpiange il privè dell’Hollywood, Vieri e la Canalis, Mora e i suoi aitanti accompagnatori. Ma quell’approccio cazzarone, superficiale, trash e tendenzialmente vuoto, televisivamente funziona ancora. Ecco perché la mancanza di Simona Ventura è diventata lancinante, persino per chi non apprezzava le sue ultime esperienze televisive. Quel continuo richiamo al gusto nazionalpopolare, all’insindacabile giudizio del popolo sovrano, alle canzoni “in italiano”, nell’ottava edizione del talent di Sky mancano da morire. Adesso è tutto troppo perfettino, senza anima. La macchina da guerra organizzativa di Sky è pregevole come sempre, per carità, ma evidentemente non basta. Manca un po’ di sano cazzeggio, mancano le intemperanze della Ventura, mancano persino le sue mise alla Sally Spectra. Manca semplicemente il nazionalpopolare. Sei Sky, piaci alla gente che piace, punti a un prodotto di standard internazionale e tutto quello che vuoi. Ma la tv non è il New Yorker. Bisogna che ci rassegniamo all’evidenza. Io per primo.