La designazione del nuovo ministro degli Esteri è sintomatica, a prescindere dalle qualità personali di Paolo Gentiloni, che ho incontrato in varie capacità e di cui ho apprezzato la misura dei giudizi e la precisione del linguaggio.
Giornalista, esperto in comunicazioni, assessore al Turismo nella Roma di Rutelli, poi presidente della Commissione di Vigilanza, ministro delle Telecomunicazioni nel secondo Prodi, ‘ulivista’, ‘margheritino’, pd della prima ora, renziano acquisito, Gentiloni ha esperienza politica e, di recente, nella Commissione Esteri della Camera e come presidente della sezione Italia – Stati Uniti dell’Unione interparlamentare, avrà acquisito competenze specifiche per cavarsela, anche se gioca fuori ruolo.
Ma ricostruiamo la vicenda in un istante. Si trattava di sostituire Federica Mogherini, una ministra giovane, preparata, coscienziosa, ma forzatamente inesperta, di cui è riuscito -per disinteresse altrui più che per meriti nostri- il trapianto, a priori improbabile, ad Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza europea.
Fra le tante opzioni, Renzi ha anche pensato al colpo di una Mogherini al quadrato: Lia Quartapelle, ancora più giovane –e di molto- della Mogherini, ancora più inesperta, indubbiamente assai brava, ma sconosciuta ai più (e a quasi tutti i suoi interlocutori). Roba da lasciare a bocca aperta, forse pure il presidente Napolitano.
Poi, ha bruscamente ripiegato su una di quelle figure della cui rottamazione s’è a più riprese vantato: Gentiloni, appunto. Avendo, però, cura di scegliere, fra i ‘vecchi arnesi’, uno la cui competenza ed esperienza internazionali sono quanto meno relative.
E la Quartapelle, mostrando d’avere l’animo del politico, oltre che la stoffa della ricercatrice, ha subito postato, a rischio d’apparire ipocrita e opportunista: “Gentiloni saprà rappresentare gli interessi dell’Italia e dell’Unione europea, rafforzando la nostra proiezione nel mondo … Con lui, l’Italia avrà una voce autorevole per affrontare i dossier più scottanti”.
Insomma, che siano esordienti o ‘vecchi arnesi’ l’importante è che siano inesperti, imprevedibili e, soprattutto, ‘miracolati’, fedeli al cubo al capo per riconoscenza. Non importa se hai sotto mano persone competenti, preparate, autorevoli: se ne scegliessi una di quelle, non meraviglieresti nessuno.
Non parliamo –solo- di Emma Bonino, che Renzi aveva già accantonato a febbraio in malo modo, rinunciando a un capitale di conoscenze e credibilità internazionali che pochi altri italiani hanno, temendone forse l’indipendenza di giudizio e la capacità tenere testa agli interlocutori. Pensiamo anche a Marta Dassù, qualità di ricercatrice ed esperienza di Farnesina, o a Lapo Pistelli, attuale vice-ministro, scavalcato per la seconda volta.
Uno potrebbe dire: ma Marta è, o fu, dalemiana; ma Lapo ha trascorsi fiorentini divisivi con Matteo. Un altro potrebbe obiettare: e che c’entra con la capacità di fare bene un mestiere –gli Esteri- che conoscono e dove molti li conoscono e li apprezzano? Nulla. Ma né l’una né l’altro ci avrebbero lasciati di stucco, meravigliati.