La cosa più odiosa di un’attività intellettuale è la menzogna. Ripugnante per ogni tipo di persona, diventa la negazione stessa della dignità a svolgere questa funzione, se praticata da chi fa delle idee e della ricerca razionale la propria professione. Eppure quotidianamente ci tocca leggere frasi banali di intellettuali che – escludendo la clamorosa autodichiarazione di ignoranza e quindi di incompetenza – mentono sapendo di mentire. Ad esempio, una delle più clamorose degli ultimi tempi, è quella secondo cui il jobs act, la semplificazione legale del lavoro, la riduzione delle protezioni sociali, sia per così dire un processo «necessario» in un contesto di «superamento del fordismo», in un’epoca postfordista, nella quale anche il nostro paese si troverebbe.
Questa è una baggianata bella e buona, una falsità sostenuta evidentemente per interessi differenti da quelli semplici di affermazione di un’idea. Replicarvi è perfino offensivo per chi lo deve fare, dato il carattere ovvio delle considerazioni, ma poiché quello che conta è togliere il velo delle bugie dalle parole d’ordine del momento e riportare la discussione all’interno di un ambito intellettualmente più onesto, ci proveremo. Il fordismo – come tutti sanno – nella sua accezione originaria e semplificata è un sistema di organizzazione della produzione industriale basato su due pilastri: 1. l’organizzazione razionale ed efficiente dei processi produttivi; 2. gli alti salari per gli operai, a compenso del maggiore impegno e a stimolo della stessa produzione. Non possiamo parlare di fordismo se non includiamo tutte e due queste colonne.
Ora si dia il caso che storicamente il nostro paese, e in generale l’Europa, da sempre sia il territorio in cui i salari sono più bassi che in Usa, patria appunto del fordismo. In Europa e in particolare modo in Italia, nell’impossibilità di alzare i salari – per la scarsa propensione degli imprenditori ad effettuare investimenti produttivi, per l’elevatissima offerta di mano d’opera e per una strutturale competitività dell’industria nazionale legata al basso costo del lavoro – sono state introdotte una serie di garanzie e di oneri extra salariali, che in parte avrebbero dovuto compensare il livello cronicamente basso delle retribuzioni.
In altre più semplici parole, la tutela del lavoratore ha sostituito le retribuzioni. Gli operai, i sindacati non potendo intervenire direttamente sui salari, storicamente si sono battuti per una serie di principi sociali e di garanzia che – oggettivamente – hanno finito per appesantire il mercato del lavoro. Ma questo è avvenuto in mancanza di alternative, proprio perché imprenditori e classe politica dall’altra parte, si sono battuti (vincendo) per mantenere i salari italiani ai livelli più bassi possibili, con l’illusione in tal modo di incrementare la competitività delle aziende italiane (che invece, proprio per questo, si sono depauperate sul piano degli investimenti tecnologici e in R&S).
Poi è venuto il lavoro precario, che al contrario di quanto accaduto nei paesi realmente postfordisti, non si è configurato come una forma nuova di rapporto lavorativo, ma ha replicato al ribasso le caratteristiche del lavoro tradizionale. In Inghilterra, negli Usa, nei paesi scandinavi e perfino in Francia la precarietà del lavoro, ad esempio, va di pari passo con retribuzioni per unità di tempo molto più elevate. Le garanzie che eventualmente non siano riconosciute vengono compensate in ogni caso con salari più ricchi e certamente molto più alti di quelli erogati in Italia. Non solo, ma nel caso delle varie tipologie di lavoro precario sviluppatesi in Italia – con una mentalità tipicamente pre-industriale e non certo fordista né tantomeno post-fordista – esse hanno assunto caratteristiche sul piano delle garanzie come della retribuzione prossime allo schiavismo e allo sfruttamento. Ma di quale postfordismo parliamo?
Ora, per concludere, quelli che presentano il jobs act come un fenomeno di superamento del fordismo, se non mentissero sapendo di mentire, dovrebbero ricordare che il fordismo in Italia non è mai stato completamente applicato. E che quindi ogni eventuale riforma postfordista non potrebbe che partire prima di tutto da un completamento della fase fordista in Italia, che impone livelli salariali molto più elevati degli attuali. E che quindi non si può partire solo dalla privazione di regole e protezioni sociali, indispensabili per un paese socialmente arretrato in cui le nuove leggi sono un esempio in perfetta continuità.