Pier Silvio Berlusconi, introverso rampollo di un padre colmo di eccessi, ha smentito l’ipotesi di una fusione tra Mediaset e Telecom, non eventuali collaborazioni, necessarie per agganciare il Biscione a un futuro che vedrà la televisione sempre più interattiva e sempre più veloce con la banda larga.
Chi adesso sopravvive sul digitale terrestre senza investire in prospettiva dei prossimi 5-10 anni – da notare che Sky ha rilanciato la sinergia con Fastweb e ha un solido rapporto-accordo con Telecom – è destinato a morire, non senza una dolorosa agonia.
Lo stesso Pier Silvio Berlusconi ha negato che ci sia una questione “squalo” Murdoch per l’offerta in chiaro: la regina del satellite Sky non ha intenzione di sporcarsi nel troppo affollato digitale terrestre (è già presente con Cielo), dove molti canali vegetano grazie al nutrito pubblico anziano, l’età media spesso supera i sessant’anni. È vero che i pensionati o i quasi pensionati d’oggi sono più solventi dei ragazzi precari, ma per il mercato pubblicitario sono marginali. Nei prossimi mesi, capiremo se Pier Silvio Berlusconi è sincero; il tempo è la migliore macchina della verità.
Non è banale ripetere che il mercato televisivo italiano sia più stretto da almeno un lustro, confusionario, ma pur sempre condizionato da un polo pubblico (destinato a diventare più debole, anche secondo i progetti del governo) e un polo privato di un uomo pubblico, l’eterna lotta non armata tra Rai e Mediaset. Per essere più corretti.
Nonostante l’esistenza di ben tre monopoli – la Rai ha il canone, Mediaset ha la pubblicità e Sky ha la parabola in esclusiva – la crescita di Discovery è un buon segnale. Il gruppo multinazionale, ormai, rappresenta il terzo-quarto operatore italiano per ascolti, terzo se scorporiamo Fox da Sky.
Classifica gennaio-settembre 2014: Rai, 37,5% di share; Mediaset 32; Discovery 5,9; Sky 4,9; La7 3,8; Viacom 1,3; Fox 1,3. I pezzi forti di Discovery sono Real Time e il maschile Dmax. Real Time è l’ottavo canale nazionale, dunque in autunno Discovery ha superato il 6% di share; è una di quelle rarissime aziende che riescono ad aumentare il fatturato pubblicitario.
Certo, l’imperialismo agevola lo sviluppo televisivo per consentire di razionalizzare i costi e gli sforzi. Non soltanto Sky, anche Discovery ha grosse proporzioni: è presente in 220 paesi, 40 sedi nel mondo, in Italia ha 12 reti fra digitale e satellite. Nell’ultimo biennio ha allargato la propria vetrina per attrarre un pubblico più di massa: nel 2013, ha acquistato i diritti del rugby (“Sei nazioni”) e quest’anno la casa madre ha comprato il 51% di Eurosport, buon perno per il pubblico italiano. Discovery Italia ha celebrato i 120 milioni di euro di introiti pubblicitari nel 2013 e quest’anno va addirittura meglio: la torta s’è ridotta, ma non è sparita; chi ha fame vera e testa lucida si può avvicinare alla credenza. Ultimo insegnamento da Discovery: sbagliato insistere con i modelli unici di genere (solo informazione o solo reality). Le nicchie sono belle, ma nicchie restano.
Il Fatto Quotidiano, 2 novembre 2014