L’Italia, ad esempio, ha circa la metà (21%) di laureati nella fascia di popolazione tra 25 e 34 anni della media OCSE (38%) (vedi i dati qui). Inoltre nel decennio 2003-2013 il numero d’immatricolati è diminuito del 20%: il capro espiatorio della crisi sembra essere l’università incapace di preparare al mondo del lavoro. In realtà c’è una bassissima richiesta di personale con formazione avanzata: la quota di occupati nelle professioni ad alta specializzazione è tra le più basse in Europa, come anche la spesa in ricerca e sviluppo delle imprese italiane (la metà rispetto alla media europea) mentre i ricercatori delle imprese rispetto agli occupati sono un terzo della Francia e della Germania. Continuando tagliare sul finanziamento di università e ricerca si continuerà ad aggravare una situazione che già ora sembra essere irrecuperabile: un folle gioco al ribasso che rende necessario, per supplire alla mancanza d’innovazione, abbassare i costi del lavoro e i diritti dei lavoratori.
Il Presidente Renzi spiega che, come soluzione, vorrebbe che le università italiane siano come i garage della Silicon Valley, dove, nell’immaginario collettivo, nascerebbero l’innovazione e il business grazie a giovani scamiciati e geniali aiutati dalle forze del libero mercato.
In questa fantasiosa rappresentazione della realtà ci si dimentica del fatto che, nel paese per altri versi paladino del libero mercato, la ricerca di base è finanziata dal governo federale per 40 miliardi di dollari all’anno. Se si possono impunemente raccontare queste favole, significa che li stiamo toccando con mano i danni dell’ignoranza: se n’è sicuramente reso conto il milione di persone che ha manifestato la settimana scorsa, e che si ritrovato orfano di un qualsiasi riferimento non solo politico ma anche culturale.