Oggi sono 10 anni esatti dall’omicidio di Theo Van Gogh, un evento che tutti ricordano bene qui in Olanda. Per il livello elevato di efferatezza: vedere in pieno giorno, nel rush hour e per giunta su una trafficatissima via ciclabile del quadrante est della città un uomo prima freddato con otto colpi, poi sgozzato, quindi colpito al cuore non è cosa comune ad Amsterdam. E forse non lo è da nessuna parte.
Ma nessuno dimenticherà quel 2 novembre anche per la fortissima carica simbolica che quella vicenda si portava dietro: quell’omicidio è stato molto più di un efferato caso di cronaca nera. Il regista Theo van Gogh era un personaggio particolare che incarnava molto bene una delle culture dominanti e più radicata nel paese dei tulipani, una versione riveduta, corretta e conservatrice della tradizione degli artisti-provocatori che avevano scosso la nazione negli anni ’60.
Con un cognome ingombrante (si, era parente di Vincent) come la sua stazza fisica, Theo van Gogh si era ritagliato quel ruolo di artista-film maker eccentrico, fastidioso ed irritante, fuori dagli schemi e dalle righe: un po’ Carmelo Bene (d’Olanda) un po’ Vittorio Sgarbi, con una passione viscerale per le apparizioni televisive, per il turpiloquio e per la provocazione a tutti i costi. Per ragioni diverse, tra i suoi detrattori ed i supporter, si era costruito un vero e proprio esercito di seguaci che lo seguivano dalle pagine del suo sito, il “Gezonde roker” (il fumatore sano) dove se la prendeva con tutto e con tutti.
Ed il livello di fastidio che hanno provocato molte sue stomachevoli sparate, sono ancora oggetto di discussione pubblica: dalla poco elegante battuta sui musulmani, che sosteneva praticassero abitualmente sesso con animali “ad un’orripilante gag televisiva sulle camere a gas, dove commentò l’odore caramelloso che emanerebbe un diabetico bruciato nei forni, il gusto del grandguignolesco e per lo scandalo erano il suo marchio di fabbrica. Riteneva che l’islamofobia e l’antisemitismo, insieme al sessimo ed al razzismo, tanto per non fare torto a nessuno, non fossero sparate blasfeme oppure offensive ma semplicemente libertà d’espressione.
Se Vang Gogh fosse un genio visionario che sfotteva vizi e virtù dell’occidente o uno sciatto ed egocentrico sciacallo con la lingua troppo lunga è questione ancora aperta; fatto sta che quel 2 novembre di dieci anni fa l’esecuzione quasi rituale (gli spari, lo sgozzamento e infine la pugnalata al cuore) del simbolo di una certa Olanda bianca, cadeva per mano del simbolo di un’altra Olanda, quella alloctona delle seconde e terze generazioni di immigrati che non erano riusciti ad integrarsi.
Se Pym Fortuin era stato giustiziato da un olandese, Theo Van Gogh è stato freddato da un ‘corpo estraneo’ ai Paesi Bassi, Mohammed Bouyeri uno dei tanti figli di immigrati cresciuti senza cultura e senza opportunità che popolano gli anonimi quartieri della periferia sud-ovest di Amsterdam. Quell’esecuzione senza un perchè (la motivazione sarebbe stata l’offesa arrecata all’islam dal cortometraggio islamofobo di Van Gogh “Submission”) è stato un pò l’11 settembre olandese, il trampolino di lancio per la carriera politica di Geert Wilders e forse la fine di una certa idea di Olanda. Che da allora, nonostante la comunità musulmana nel paese sia consistente e in maggioranza ben integrata, si è ritrovata più intollerante e meno impermeabile a razzismi e populismi.