Apriti cielo. Dopo quel tale che scrive sul giornale, nello specifico Il Fatto Quotidiano, c’è arrivato anche Vasco Rossi a sparare a salve contro il mondo indie, nel suo intervento all’interno del Medimex di Bari, durante la presentazione del suo ‘Sono innocente’.
Sì, perché il Blasco, di cui per altro quel tale che scrive sul giornale è il biografo, ha osato dire che secondo lui è pieno di gente che si trova a suonare di fronte a un pubblico amico sin da subito, senza passare dalla gavetta, senza testare sulla propria pelle cosa sia il confronto con perfetti sconosciuti pronti a tirare metaforici pomodori, se non di peggio. Come dire, oggi è tutto troppo autoreferenziale.
Ora. Procediamo con ordine. Di difendere Vasco non mi interessa, ha le spalle sufficientemente larghe, e un ufficio stampa sufficientemente agguerrito di suo. Ma a me non sembra affatto che il discorso di Vasco, per altro una frase estrapolata in tutt’altro contesto, fosse diretto nello specifico contro il mondo sedicente indie. A una lettura sommaria, veloce, anzi, direi che stesse parlando del mondo dei talent, quello da cui, qualcuno lo dica al sedicente mondo indie, escono i nomi che riempiono palasport e piazze, nonché i soli che vendano veramente qualcosa, oggi. Il tutto partiva dalla domanda di un collega di chi il bubbone ha fatto esplodere, domanda che chiedeva a Vasco ragione dello stato di salute della musica italiana, dando per scontata fosse morta, e Vasco, magari non in gran spolvero ha risposto come ha risposto. Il punto è però altro, direi.
Sta infatti nell’autoreferenzialità ormai endemica del sedicente mondo indie. La percezione di sé che chi fa parte di questa nicchia, perché di nicchia si tratta, è che il mondo finisca negli angusti confini del proprio praticello, al punto da sentirsi sotto attacco anche quando dentro il mirino c’è una figura decisamente più ingombrante. Intendiamoci, non voglio certo dire che i milioni di spettatori di programmi come Amici abbiano più valore delle migliaia di spettatori che durante un tour vanno ad ascoltare un sedicente artista indie, perché non ho mai considerato il valore di un artista a partire dai numeri, ma neanche credo sia sensato fare il ragionamento inverso: siccome sono di nicchia sono più valido di Tizio o di Caio. Vasco, nella sua dissertazione non certo linearissima, lamenta l’assenza di gavetta e sottolinea un eccesso di autoreferenzialità, e se a sentirsi tirare in ballo invece che il destinatario dell’invettiva è qualcun altro, beh, probabilmente si tratta o di coda di paglia o di mania di grandezza. Qualcuno dirà, da anni Vasco è fuori dal mondo, perché parla? Probabilmente è vero, ciò non toglie che la reazione è stata scomposta, ancora più fuori dal mondo.
Per entrare di più nello specifico, ancora più ridicola è la faccenda se a sentirsi tirare in ballo, e quindi a partire con una controffensiva non è un artista sedicente indie, ma la webzine di riferimento di quel mondo, perché siamo ai livelli di proclami di guerra fatti conto terzi. Questa, del resto, è una antica mania del mondo del giornalismo musicale italiano, che si lasciava andare a situazioni altrettanto ridicole anche quando un mondo indie, in effetti, c’era davvero, con artisti di qualità, ancora in circolo, per altro, e qualcosa di più di una webzine a cercare di tenere insieme il tutto. Sono di parte, e del resto non vedo perché non dovrei esserlo, ma quel che nei primi anni Zero ha fatto la rivista Tutto Musica, di cui ero firma, per supportare la scena che ruotava principalmente intorno alla Mescal e che ha avuto la sua cristallizzazione nel Tora! Tora! (che in realtà ne sancì anche un po’ il fallimento, incapace come fu, quella scena, di sopravvivere in assenza dei grossi nomi che erano scesi in campo, dagli Afterhours di Manuel Agnelli, ideatore del tutto, ai Subsonica, passando per i Marlene Kuntz), non lo fecero certamente le varie riviste di settore, sempre pronte a puntare i fucili contro il magazine di casa Mondadori (se penso a quanti collaboratori delle medesime poi scrivevano per Tutto Musica sotto falso nome mi viene ancora da ridere) ma incapaci per numeri e portata, sì, a volte i numeri sono utili quando c’è di mezzo la promozione, di portare un supporto che non fosse appunto autoreferenziale.
E lo stesso si può dire, negli anni passati, per XL di Repubblica, altra testata sicuramente non di casa qui, che di Tutto Musica ha preso il testimone.
L’autoreferenzialità in assenza di sostanza, spiace dirlo, è solo autoreferenzialità. Ce la cantiamo e ce la suoniamo da soli. Siamo fighi, siamo bravi, e poco conta se per il resto del mondo, inteso non come pianeta Terra, ma anche solo come condominio di fianco, non esistiamo né mai esisteremo.
Quindi si mettano il cuore in pace i sedicenti indie, o chi dei sedicenti indie si è autoproclamato megafono, nessuno intendeva sbertucciarli, al Medimex di Bari. Si è gridato all’attacco, si è reagito scompostamente, ma è come se un po’ di forfora si ritenesse in pericolo perché qualcuno ha deciso di tagliare la testa del possessore della forfora medesima.
Ora, siccome la musica di riferimento del sedicente mondo indie, personalmente, mi interessa, decisamente più di quella di Vasco, nel chiudere voglio farvi una segnalazione, dando da mangiare agli amici troll, che non riescono a concepire che un critico musicale si lasci andare a critiche positive di artisti che non siano loro parenti, amici o amanti.
Come sapete vengo spesso accomunato a Cristina Donà, per ragioni che non sto qui a spiegarvi. Bene, oggi mi sento di dirvi che mi è capitato di ascoltare un’artista che è la degna erede della Donà, come lei capace di scartavetrare le parti più nascoste dell’anima. Si chiama Chiara Vidonis, e proprio in questo periodo sta registrando il suo album d’esordio. Io ho avuto modo, questo è il mio mestiere, baby, di ascoltare alcuni brani in anteprima, a partire da Quando odiavo Roma, che è qui linkata in video, e ne sono rimasto profondamente impressionato. Stessa sensazione provata ascoltando Tregua, una vita fa. Grande qualità di scrittura e di interpretazione. Empatia gettata a secchiate, nota dopo nota. Qualcosa di più di una promessa. Fossi un discografico, e fortunatamente non lo sono, non me la lascerei sfuggire.