Quella appena terminata è stata una settimana di ordinaria persecuzione giudiziaria nel regno del Bahrain, più volte accreditato dal suo partner privilegiato, la Gran Bretagna, di essere “sulla strada delle riforme”.
Martedì 28 ottobre un tribunale di primo grado ha ordinato l’espulsione di 10 bahreiniti che, dal novembre 2012, erano privi di cittadinanza. Stranieri in patria, in buona sostanza.
I 10 nuovi apolidi (nove uomini e una donna), che potrebbero essere espulsi qualora il loro ricorso in appello venisse respinto, fanno parte di un gruppo di 31 persone – tra cui due ex parlamentari, esponenti religiosi e attivisti della società civile – cui due anni fa era stata revocata la cittadinanza poiché, ai sensi della legge sulla cittadinanza, recentemente inasprita, costituivano “una minaccia nei confronti della sicurezza dello Stato”. Sulla base di quali prove, non è dato saperlo.
Dopo la sentenza del novembre 2012, i 31 erano diventati a tutti gli effetti “clandestini”. Ventuno avevano deciso di lasciare il paese. Nel giugno 2013 i 10 rimasti si erano visti confiscare passaporti e carte d’identità. Nell’agosto 2014 era scattata l’incriminazione per “soggiorno illegale”.
Subito dopo il processo di martedì, sono iniziate le angherie nei loro confronti. La mattina dopo uno di loro, Isma’il Khalil Darwish Ghulom, un pescatore, è stato arrestato a un posto di blocco e portato in una stazione di polizia in quanto, ovviamente, privo di documenti. È stato rilasciato poco dopo.
Mercoledì 29 c’è stata una nuova udienza per Zainab al-Khawaja (qui il riassunto della pluriennale persecuzione nei suoi confronti). Il giudice ha deciso un ulteriore rinvio al 4 dicembre e questo vuol dire che, a meno che non venga concesso un permesso, l’attivista partorirà il suo secondo figlio in carcere.
La chiusura della settimana ha visto alla sbarra Nabeel Rajab, presidente del Centro per i diritti umani del Bahrein e direttore del Centro per i diritti umani del Golfo. Rientrato in Bahrein il 30 settembre dopo due mesi di conferenze in Europa sulla situazione dei diritti umani nel suo paese, Rajab era stato arrestato il 2 ottobre con l’accusa di “aver offeso pubblicamente istituzioni ufficiali” dopo aver commentato su Twitter la notizia che membri delle forze di sicurezza bahreinite si erano aggregati allo Stato islamico.
Ieri pomeriggio, il processo è stato rinviato al 20 gennaio 2015. Nell’attesa, Rajab è stato scarcerato, con l’obbligo di comunicare eventuali spostamenti dalla sua residenza. In precedenza, aveva scontato due anni di carcere per i reati di “riunione illegale”, “disturbo all’ordine pubblico” e “convocazione e partecipazione a manifestazioni senza preavviso” nella capitale Manama. Era stato rilasciato nel maggio 2014.