Ancora una volta l’Italia rischia di non avere un ruolo guida nel Mediterraneo ma accodarsi a politiche di intervento di altri Paesi a cominciare dalla Francia. Proprio il Paese transalpino si sta dimostrando negli ultimi tempi attento al caos libico e alle ripercussioni negative in tutto il mar Mediterraneo. Certo gli interessi francesi nella cosiddetta Françafrique sono numerosi ma il caso libico coinvolge direttamente anche 200 nostre aziende che vi operano. Visto che la Libia non ha più una leadership, il rischio di un’interruzione delle forniture petrolifere verso l’Europa è concreto, e tutto il territorio nazionale è attraversato da faide tribali tali per cui una parte del Paese è finita sotto il controllo delle milizie islamiche sunnite di Ansar Al Sharia vicine a Isis e un’altra porzione è sotto il controllo di Khalifa Haftar.
Ma il vero conflitto è tra chi vuole uno Stato di diritto e chi preferisce anteporre a ciò i propri interessi personali. La Francia attraverso il ministro delle Difesa Le Drian ha fatto sapere di un suo probabile intervento militare dichiarandosi apertamente Paese leadership nella lotta al terrorismo jihadista per una stabilità in Libia che ad oggi rischia solo di implodere. Infatti i jihadisti comprano armi dal mercato nero, smerciano droga e continuano a mietere vittime nella tratta degli esseri umani. Le dichiarazioni del ministro francese sono state raccolte soltanto ora dal nostro ministro della Difesa Pinotti che di fronte a tutto ciò ha deciso di fornire aiuti per la costituzione di un esercito di sicurezza libico fornendo tra l’altro anche delle armi.
I rapporti tra Haftar (ex comandante gheddafiano) e l’Occidente hanno origine nel settembre 2012 quando il generale americano Carter Ham, allora comandante di Africom, durante una visita ufficiale a Tripoli, ventilò l’ipotesi di un addestramento di militari libici da parte delle Forze speciali americane, proprio sotto il coordinamento del generale Haftar. Il problema oggi della Libia è che al suo interno tra terroristi, tribù e potentati non si riesce a trovare un ordine, per un Paese che dopo i 40 anni di dittatura va praticamente costruito e che l’Italia si è fatto sfuggire di mano. Da vecchio “scatolone di sabbia” a pozzo di investimenti per diverse aziende italiane. Questa è la moderna Libia. Forse anche Gaetano Salvemini fortemente contrario all’impresa nel 1911 potrebbe oggigiorno ricredersi.
Intanto nel periodo tra il 2005 e il 2009 l’Italia ha avuto un primato importante. E’ stato il paese dell‘Unione Europea che ha venduto più armi alla Libia per un totale di euro 276.7 milioni in 5 anni. Principalmente pistole Beretta. Renzi non l’ha messo in agenda ma un tavolo negoziale dove riunire i vari gruppi per la costituzione di un governo stabile in Libia tracciando una road-map potrebbe essere promosso proprio dal nostro Paese che al di là dell’invio di armi sembra volersene disinteressare. Quello di cui ha bisogno oggi la Libia è di una identità nazionale che rischia sempre più di vacillare sotto colpi delle forze disgregatrici.