Nonostante i buoni risultati ottenuti (l'Obamacare funziona, l'economia è in ripresa, la disoccupazione scende), sempre più candidati democratici si dichiarano distanti dal capo della Casa Bianca. A pesare gli errori nella comunicazione e l’apparente indecisione con cui ha affrontato le ultime crisi internazionali
L’“uomo invisibile”. O il “fantasma politico”. Sono alcuni delle definizioni che girano a Washington per definire il presidente degli Stati Uniti alla vigilia delle elezioni di midterm. La popolarità di Barack Obama non è mai stata così bassa e i suoi stessi amici e alleati prendono le distanze. Ci sono democratici che negano di averlo mai votato e altri che raccontano di averlo sempre combattuto. Ci sono decine di militanti democratici che se ne vanno quando Obama sale sul podio per un comizio; altri che lo contestano apertamente per quello che non ha fatto – in particolare la legge sull’immigrazione. Il presidente che era salito alla Casa Bianca per unificare il Paese, per superare le divisioni tra democratici e repubblicani, conclude la sua carriera politica come una fonte di guai da cui è meglio stare lontani.
L’episodio più imbarazzante di questi giorni si è svolto durante un’intervista ad Alison Lundergan Grimes, la democratica che in Kentucky cerca di sfilare il seggio al Senato a Mitch McConnell, uno dei repubblicani più navigati. Di fronte alla domanda: “Ha votato per Obama nel 2008 e nel 2012?”, la Grimes, per ben tre volte, si è rifiutata di rispondere, spiegando di essere una democratica clintoniana e che queste elezioni di medio termine non c’entrano nulla con il presidente. Ha fatto qualcosa di molto simile il senatore democratico del Colorado Mark Udell, che il prossimo 4 novembre cerca di salvare il suo posto e che proclama: “Quando dalla Casa Bianca guardano giù, l’ultima persona che vogliono vedere arrivare sono io”. Mentre in Georgia un’altra democratica, Michelle Nunn, annuncia: “In lizza ci sono io. Tra due anni ci sarà un altro presidente”.
Il fatto è che gli indici di popolarità di Obama sono bassi, bassissimi – intorno al 40%, con soltanto il 29% degli elettori che pensa che gli Stati Uniti “stiano andando nella giusta direzione” – e a pochi va di farsi vedere in giro col presidente. Questo spiega anche la marcata assenza di Obama dalla campagna elettorale di midterm, soprattutto in Stati come Colorado, North Carolina, Virginia, dove il risultato è più in bilico. Quando poi Obama si è presentato a qualche comizio, le cose si sono fatte ancora più imbarazzanti. Domenica scorsa il presidente era in una palestra di Upper Marlboro, Maryland, per un incontro di sostegno al candidato democratico a governatore, Anthony Brown. In questa contea, nel 2012, Obama aveva ottenuto percentuali di voto bulgare. Ma quando questa volta è salito sul podio, alcune decine di persone si sono alzate dai loro posti e hanno platealmente abbandonato la sala.
A due anni dalla rielezione, Obama paga del resto uno strano fenomeno. Per molti dei suoi elettori, non ha fatto abbastanza; per i suoi rivali e nemici, quello che ha fatto è abbastanza per renderlo un presidente odiatissimo. In questi mesi e settimane Obama si è ritrovato spesso a ripetere una frase: “Abbiamo fatto molto”, che in linea di principio è anche vera. L’Obamacare sta funzionando, tanto che i repubblicani hanno rinunciato a farne un argomento polemico della campagna elettorale. Un altro tema di questa presidenza, l’aumento dei minimi salariali, ha il 70% di appoggio tra gli americani. L’economia è in ripresa, la disoccupazione continua a scendere e questa presidenza ha saputo mettersi dalla parte “giusta” della Storia, e dell’opinione pubblica, quando si è trattato di sostenere i matrimoni omosessuali.
Eppure le “vittorie” sembrano contare pochissimo. Obama paga anzitutto degli errori di comunicazione, che la propaganda repubblicana ha contribuito a ingigantire. Poche ore dopo la decapitazione del giornalista americano James Foley, il presidente era su un prato a giocare a golf. Obama paga anche il ritardo e l’apparente indecisione con cui è sembrato affrontare alcune crisi internazionali recenti, in particolare quella dell’Isis e del virus Ebola. La sua antica e proverbiale tranquillità – “No Drama Obama”, lo chiamavano – è parsa in queste occasioni distacco, indifferenza, indecisione, e ciò ha nutrito un sentimento di paura e insicurezza tra gli americani. Per i quali, va ricordato, la politica internazionale e la sua scia di sangue ed epidemie è diventata improvvisamente importante. Un sondaggio recente del Wall Street Journal/NBC spiega che il 94% degli intervistati è ben informato sugli assassini dello Stato Islamico: la percentuale più alta per un evento di attualità negli ultimi cinque anni.
Rincorso dai suoi errori ma anche dalla scarsa “fortuna”, Barack Obama ha comunque già votato per le elezioni di medio termine, in un community center intitolato a Martin Luther King vicino alla casa di famiglia nel South Side di Chicago. Voleva, ha spiegato, mostrare i benefici dell’early voting, del voto anticipato. Ma anche qui non gli è andata benissimo. Sui media ha avuto infatti più eco l’incidente di cui è stato vittima mentre si trovava davanti alla macchina per il voto. Con una ragazza occupata a votare lì accanto, Obama è stato apostrofato dal fidanzato della donna: “Presidente, non tocchi la mia ragazza”. L’uomo si è poi scusato, ma l’episodio apparentemente minimo ha mostrato ancora una volta, secondo alcuni, come Obama abbia perso il suo “tempo”: la capacità innata e naturale di interpretare il mondo e la gente attorno a lui.