Il vicedirettore generale di via Nazionale, in audizione sulla legge di Stabilità, ha avvertito che i lavoratori a basso reddito che scelgono di monetizzare il trattamento di fine rapporto sono destinati a ricevere assegni previdenziali troppo leggeri. La richiesta al governo: "Il provvedimento sia temporaneo". Dubbi della Corte dei Conti sui tagli agli enti locali
Tre giorni fa a lanciare l’allarme era stato il commissario straordinario dell’Inps Tiziano Treu. E lunedì ci ha pensato anche Bankitalia a intervenire a gamba tesa sulla possibilità, introdotta dal governo Renzi nella legge di Stabilità, di chiedere il versamento del Trattamento di fine rapporto in busta paga invece che attendere la fine del rapporto di lavoro. Chiarendo che quella scelta, messa a disposizione dei soli dipendenti del settore privato, rischia di trasformarsi in un boomerang: potrà forse dare una spinta ai consumi nel breve periodo, ma creerà una generazione di pensionati poveri. Il vicedirettore generale di via Nazionale, Luigi Federico Signorini, in audizione sulla manovra davanti alle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato ha avvertito infatti che “lo smobilizzo del tfr maturando inciderebbe negativamente sulla capacità della previdenza complementare (o del tfr se percepito alla fine della carriera) di integrare il sistema pensionistico pubblico, che in prospettiva presenta bassi tassi di sostituzione, soprattutto per i giovani, mediamente più soggetti a vincoli di liquidità”. In parole ancora più chiare, “l’adesione dei lavoratori a basso reddito all’iniziativa aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate“.
“È ragionevole supporre – è la previsione di Bankitalia – che chiederanno la liquidazione del Tfr maturando e lo destineranno a finanziare maggiori consumi soprattutto lavoratori soggetti a vincoli di liquidità e quelli a più basso reddito“. Uno scenario che “aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate. È dunque cruciale che la temporaneità del provvedimento, motivato dalla fase congiunturale eccezionalmente avversa, venga mantenuta”. Insomma: se proprio il governo vuole farlo, cerchi di limitare i danni. Parole molto simili a quelle di Treu, che aveva detto: “La soluzione che è stata presa è frutto di una soluzione temporanea. È il minor male, mi auguro però che non sia definitiva”.
Ma i rilievi della Banca d’Italia non si sono limitati alla questione del Tfr. Palazzo Koch ha anche messo in guardia l’esecutivo dall’impatto dei tagli alle risorse destinate agli enti locali. “Nel 2010-13 i trasferimenti agli enti locali sono stati ridotti di 30,3 miliardi di euro”, ha ricordato Signorini, osservando che gli “enti decentrati hanno reagito anche aumentando significativamente le entrate e nell’ambito delle spese riducendo soprattutto quelle in conto capitale“. E “occorre evitare che questa tendenza prosegua”. In ogni caso, l’impatto del ddl Stabilità dipenderà anche “dalle modalità con cui verranno effettuati i risparmi di spesa”. Come dire che non è detto che le nuove sforbiciate inserite nella manovra debbano per forza tradursi in maggiori tasse, minori servizi o una revisione al ribasso delle uscite per investimenti. Su questo punto, però, la Corte dei Conti è più cauta. Il presidente Raffaele Squitieri, anche lui audito alla Camera sulla manovra, ha chiarito infatti che “le coperture individuate, specie quelle dal lato della spesa delle amministrazioni territoriali, mantengono margini di incertezza per il timore sia che da esse derivino peggioramenti nella qualità dei servizi, sia che esse inducano ad aumenti delle imposte“.
Non solo: i magistrati contabili segnalano che “la mobilitazione di risorse consistenti, specie se poste in rapporto con i vincoli di finanza pubblica, richiede un attento monitoraggio degli interventi per assicurarne, in fase di attuazione, l’efficacia e, soprattutto, l’effettivo carattere aggiuntivo“. In particolare “alcuni aggiustamenti potrebbero essere opportuni, come per esempio in tema di sgravi contributivi per i nuovi assunti”. Tradotto: come già evidenziato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, la decontribuzione dei nuovi contratti a tempo indeterminato di per sé non comporta affatto un aumento dell’occupazione. Mentre, viste le risorse richieste per finanziarla, sarebbe opportuno prevedere accorgimenti che garantiscano che siano soldi ben spesi.
Quanto alle clausole di salvaguardia, quelle cioè che impongono un aumento di accise e Iva nel caso il governo non ottenga i risparmi (o le maggiori entrate) preventivati, secondo Bankitalia “hanno il pregio che con il loro meccanismo automatico danno certezza ma il loro effetto è per definizione quello di un incremento della tassazione indiretta che diventerebbe molto elevata. Se nel 2018 questi interventi saranno stati attuati ci troveremmo in una situazione di un’imposizione indiretta molto elevata, con il peso che avrebbe questo sulla situazione economica e sull’incentivo all’occultamento di transazioni”. Di conseguenza – e ci mancherebbe – “è preferibile non si arrivi a far scattare le clausole”.