“Credo che la celebrazione del centenario della Prima Guerra Mondiale non abbia alcun senso se non chiediamo scusa per il tradimento di cui siamo stati colpevoli nei confronti dei giovani e dei milioni di morti in quel conflitto”. Dall’ospedale milanese San Raffaele in cui è tuttora ricoverato, Ermanno Olmi usa parole dure per il videomessaggio inviato all’anteprima stampa del suo Torneranno i prati, nelle sale dal 6 novembre. C’è un’urgente sacralità nelle sue dichiarazioni, distillate e chiare come di consueto, perché di fronte a tanto dolore non si può (più) ingannare. Di fatto, il suo film “non è sulla guerra, ma su dolore della guerra” spiega il protagonista Claudio Santamaria, ancora emozionato per aver lavorato con un “illuminato, con lui è stato come incontrare il Dalai Lama, e non lo dico per fare una battuta”.
Ermanno Olmi, classe 1931, non ha concepito Torneranno i prati sull’impeto del sentimento “come spesso accade alla genesi di un film”, ma al contrario “su proposta per l’anniversario della Grande Guerra. Ed è allora che ho rievocato le parole di mio papà, che la combatté da soldato. Riflettendoci, ho compreso che il tradimento perpetrato verso i ragazzi morti o feriti in guerra sta nel non aver mai spiegato il perché sono rimasti vittime. E con i defunti e i bambini non si può barare. Troppa vigliaccheria nascosta dietro alla parola neutralità si è accompagnata in 100 anni, è ora di finirla. Camus diceva che se vuoi cambiare il mondo devi cambiare te stesso”.
Troppa vigliaccheria nascosta dietro alla parola neutralità si è accompagnata in 100 anni, è ora di finirla. Camus diceva che se vuoi cambiare il mondo devi cambiare te stesso
Ciò che il Maestro Olmi ha deciso di mettere in scena in Torneranno i prati – girato in loco belli sugli Altipiani lo scorso inverno – corrisponde “ai fatti realmente accaduti, ma attraverso un racconto evocativo e non realistico” perché appunto è lo stato di allucinazione prodotto dagli orrori bellici a rimanere nella memoria di chi ha tramandato il suo vissuto ai posteri. Il tempo della narrazione dura una sola nottata, dentro e sull’uscio di una disperata trincea italiana sul fronte Nord-est sul finire del 1917, poco prima di Caporetto. Pochi militari travolti da metri di neve, nel gelido silenzio che prelude alla morte, inevitabile. La consapevolezza è quella di comprendere che ogni istante potrà essere l’ultimo: per questo ogni parola dei personaggi (“Ermanno non ci voleva attori ma esseri umani che tentassero di provare l’esperienza vera della vigilia di una morte improvvisa” – incalza Santamaria) ha un peso specifico, rarefacendosi nell’apparenza di una pace innevata.
Negli 80’ del film, solenne e importante nella sua aderenza di forma/contenuti, assistiamo alla dimensione onirico/evocativa tipica dell’ultimo Olmi volta a tradurre l’Incubo: un plenilunio che odora di Eternità avvolge la trincea di questa umanità ormai a brandelli, che si capisce essere ignara dello stato di assurdità in cui viene a trovarsi. Nello scorrere del tempo e del film viene a maturare in loro la consapevolezza del non-senso di tale esperienza, in cui – lo spiega bene una lettera alla madre/ monologo del giovane “Tenentino” – tutto perde di significato, dai gradi militari ad ogni speranza per un possibile futuro. Il perché siano finiti lì dentro, questi giovani non l’hanno capito, e probabilmente neppure noi, alla luce dei successivi e vigenti conflitti che addolorano il mondo. La trincea è già una tomba di morti viventi: dal silenzio spettrale esplodono improvvisi i colpi di mortaio, illuminati dalla fotografia del figlio Fabio Olmi, che ha scelto col padre un bianco&nero che sa di universale, intervallato da desaturate colorazioni ad enfatizzare momenti o dettagli. E laddove si sono sparsi migliaia di cadaveri, “torneranno a pascolare le mucche, appunto torneranno i prati, e tutto sarà dimenticato”, chiosa sul finale uno dei soldati. La speranza è che non si tratti dell’ultima opera di Olmi, benché la consistenza artistica e storica di cui essa si pregia risuoni come splendido testamento spirituale.
Negli 80’ del film assistiamo alla dimensione onirico/evocativa tipica dell’ultimo Olmi volta a tradurre l’Incubo: un plenilunio che odora di Eternità avvolge la trincea di questa umanità ormai a brandelli
Se l’uscita nazionale del film è segnata per il 6 novembre grazie a 01 Distribution, domani 4 novembre in occasione dell’anniversario dell’Armistizio di Villa Giusti, Torneranno i prati sarà proiettato in circa 100 Paesi, raggiungendo “piazze” come Parigi, Londra, Pechino, Tokyo, Mosca, Pristina, Betlemme, Tel Aviv, New York, Beirut, Teheran, Seoul, Bogotà e Islamabad, giusto per segnalare alcune città coinvolte. L’iniziativa è stata promossa dalla Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale della Presidenza del Consiglio, con l’ausilio di Ambasciate, Consolati e Istituti di Cultura Italiani all’Estero.