Il comitato per la sicurezza ha approvato una "regolamentazione più restrittiva". Una lettera di Luigi Di Maio (M5s) aveva denunciato alla presidente Boldrini la presenza di soggetti esterni: "Ora via la stampa in pensione e gli ex eletti"
I lobbisti non potranno più accedere agli uffici dove si svolgono i lavori delle commissioni parlamentari. Il Comitato per la sicurezza della Camera ha deciso di intervenire sugli accessi con una regolamentazione “più restrittiva”. La decisione arriva dopo la lettera del vicepresidente di Montecitorio Luigi Di Maio che denunciava, il 16 ottobre scorso, la presenza di alcuni soggetti esterni: “E’ più di un anno”, ha detto a ilfattoquotidiano.it il deputato M5s, “che chiedo alla presidente Laura Boldrini. La situazione è tornata ad essere preoccupante durante la discussione dello Sblocca Italia. Abbiamo visto una folla di persone davanti agli uffici, rappresentanti di imprese attaccati alla giacca dei parlamentari per chiedere un intervento sugli emendamenti”. Per questo Di Maio ha scritto alla presidente di Montecitorio e in contemporanea alle associazioni europee che si occupano del fenomeno lobbista. Poi oggi l’intervento del Comitato per la sicurezza che ha comunicato la decisione tramite email alle maggiori società di lobbying.
Le prime polemiche in Parlamento risalgono ad un anno fa quando i 5 Stelle denunciarono la presenza di un lobbista durante la discussione della legge di stabilità con video e foto. “Sono soddisfatto per quanto deciso dal Comitato”, ha continuato Di Maio, “anche se c’è ancora molto da fare. Ad esempio oltre ai rappresentanti delle società, hanno totale libero accesso agli uffici 71 giornalisti parlamentari in pensione e tutti gli ex eletti. Un esempio fra tutti? L’ex Pdl Italo Bocchino: è sempre in Parlamento anche se non è stato eletto e a me risulta lavori per il gruppo Romeo. E potrei citare tantissimi altri casi. E’ una situazione che deve essere regolamenta al più presto: non vogliamo trasferire il lobbismo al di fuori del Parlamento, ma vogliamo che i cittadini sappiano chi entra, con chi parla e perché”. Al Senato è attualmente in discussione in commissione Affari costituzionali un ddl per il registro delle lobby, anche se i tempi per l’arrivo in Aula sono molto lunghi. “Ho chiesto alla Boldrini”, ha concluso Di Maio, “di intervenire prima della discussione della legge di stabilità: sarà un momento delicato e non possiamo accettare che l’intervento delle lobby non sia ulteriormente limitato”.
Intanto a Montecitorio si affrettano a registrare il primo cambiamento in un ambito che vede l’Italia ancora molto indietro. “La nuova normativa – si legge nel comunicato del Comitato per la sicurezza – prevede che siano autorizzati ad accedere al IV e V piano di Palazzo Montecitorio“, dove appunto hanno sede le aule delle commissioni, “soltanto i funzionari del governo, i rappresentanti degli organi costituzionali, i rappresentanti di partiti e movimenti politici, i dipendenti dei gruppi e i collaboratori dei deputati, oltre ai dipendenti della Camera”. Pertanto, tutti i soggetti “che sono attualmente titolari di autorizzazioni di accesso permanenti” – badge verdi e bianchi – “con facoltà di accedere agli uffici delle commissioni” e che non rientrino nelle precedenti categorie “dovranno restituire al Servizio per la sicurezza i loro tesserini, in scadenza mercoledì 5 novembre, i quali saranno sostituiti con nuovi titoli di accesso conformi alle nuove disposizioni”.
Secondo l’analisi di Transparency International, l’Italia si classifica tra i peggiori d’Europa in quanto a trasparenza con un punteggio di 20 su 100. Sono 50 i disegni di legge presentati dal 1948 ad oggi e nessuno è riuscito mai a superare la prova dell’Aula. “Il lobbismo”, dicono dallo staff di Trasparency, “è una delle attività che influisce maggiormente sui processi decisionali e democratici del Paese. Questo vuoto normativo ha fatto sì che potessero prosperare anche soggetti intermedi che rappresentano i propri interessi o di altri con modalità che poco si addicono ad una democrazia matura”. I dati non sono incoraggianti: 11% è il livello di accesso dei cittadini alle informazioni sulle attività di lobbying; 27% la valutazione dei codici di comportamento dei lobbisti e dei decisori pubblici; 22 per cento invece l’equità di accesso e partecipazione al processo decisionale.