Costretto a pagare tre volte il pizzo ad altrettanti presunti esponenti del clan Di Cosola, detenuti in carcere. È successo a una commerciante di Adelfia, in provincia di Bari, che oltre a pagare il pizzo è stato vittima, secondo gli inquirenti, di una lite interna all’organizzazione malavitosa. Le indagini dei carabinieri, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura, sono partite da un grave attentato dinamitardo che il negoziante di Adelfia ha subito, dopo essere stato già vittima qualche mese prima di un incendio che aveva parzialmente danneggiato l’esterno del suo locale, oltre che due auto parcheggiate, frantumando i vetri delle vicine abitazioni.

Dopo questi episodi, gli investigatori hanno accertato che la vittima aveva iniziato a pagare ai famigliari di un detenuto 31enne del clan un pizzo di 500 euro al mese. A inizio 2013, però, per divergenze interne al clan Di Cosola, era arrivato l’ordine di pagare ai familiari di altri due detenuti. Cambiamento che non era evidentemente piaciuta alla famiglia del primo esponente del clan, e lo “sgarro” venne punito con la bomba di aprile. Il commerciante aveva così deciso di pagare il pizzo a tutti e tre per evitare il peggio, arrivando a sborsare fino ad 800 euro mensili. Fino a quando, sull’orlo del fallimento, ha deciso di collaborare con i carabinieri. Ricostruiti anche i flussi finanziari del denaro che, riscosso dalla due donne, ora ai domiciliari, finiva ai detenuti attraverso vaglia postali.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, accogliendo le richieste della Dda, ha disposto la custodia cautelare per due famiglie baresi legate ai Di Cosola. I provvedimenti sono stati eseguiti dai carabinieri di Triggiano. Agli arresti sono finiti un uomo e sua nuora, che avrebbero portato i soldi in carcere ad un presunto esponente del clan 31enne. Inoltre la misura cautelare ha riguardato un’altra donna che avrebbe consegnato il denaro al figlio detenuto 26enne. Coinvolto anche un terzo detenuto vicino al clan. In tutto sei arresti. Per tutti è stata applicata l’aggravante del metodo mafioso.

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