Il nuovo sci-fi di Christopher Nolan è un viaggio interstellare che va oltre gli immaginari di Odissea nello Spazio di Kubrick. Una storia di salvezza del mondo s’intreccia con il rapporto tra padre e figlia, le teorie scientifiche dei viaggi spaziotemporali tramite wormhole e con un cast ricco di premi Oscar
Da Memento ai suoi Batman Chris Nolan aveva esplorato le dimensioni di vendetta, bene e male; poi il dolore tramite sogni e livelli della mente con Inception; illusione, magia e realtà con The Prestige e adesso lo spaziotempo e i buchi neri attraverso il legame indissolubile tra un padre e sua figlia. Interstellar vede un futuro di carestie e desertificazione che provocano immense tempeste di sabbia e cenere ispirate ai documentari di Ken Burns sul Dust Bowl statunitense. Sconvolgimenti climatici e ambientali che costringono all’agricoltura anche l’ex-astronauta Cooper per una sopravvivenza di negazione del passato evidente sui volti segnati di Matthew McConaughey e della rivelazione Mackenzie Foy. Giovane attrice meravigliosa nel ruolo della ragazzina che perde il padre tra gli spazi crescendo con le fattezze di Jessica Chastain.
Cercare nuovi mondi si prospetta come possibile salvezza della specie per lo scienziato di una rediviva Nasa interpretato dall’ex maggiordomo Alfred Sir Michael Caine, ma l’iperbole di Nolan scatta con la teorizzazione dei cunicoli spaziotemporali, come il buco sferico nei paraggi di Saturno e unico portale per raggiungere una galassia ignota. “L’unico buco dove cercare un nuovo pianeta per i terrestri” potrebbe essere una battuta del sarcastico Tars, robot monolitico che accompagnerà la spedizione, capovolgendo in fedele e ironica abnegazione la fallibilità sibillina di Hall 9000 e con un aspetto che ricorda il misterioso solido iniziale di 2001: Odissea nello Spazio. Questo e non solo fa pensare al capostipite di Stanley Kubrick, ma il nostro regista quarantatreenne raccoglie in quasi tre ore di fantascienza della fisica e delle relazioni umane più profonde uno spettacolo sublime, immenso e soprattutto fuori da ogni previsione.
I premi Oscar Caine, McConaughey e Anne Hathaway (figlia scienziata di Caine che accompagnerà Cooper nel suo viaggio) non sono che la punta di un diamante composto da una crew tecnica costellata anch’essa di statuette, candidature e una scia di titoli che hanno segnato la recente storia del cinema. In uscita il 6 novembre, non è difficile definirlo il film dell’anno. Oltre a una storia sfalsata à la Nolan si direbbero le immagini a definirne la grandezza, ma come spesso ripete il protagonista: “non basta”. Il suo formato Imax che rifiuta il 3D (quasi per bizzarro eufemismo in un film che parla di mondi a 5 dimensioni) è la prova che la tecnologia non sostituirà mai la creatività, e che solo la seconda senza la prima può trovare motivo d’essere. Ci sono invenzioni visive di grande suggestione, ma ciò che le rende grandiose è il sonoro. Da una parte i rombi dei propulsori in partenza avvolgono assordanti l’ellisse dell’addio di Cooper alla piccola Murphy travolgendo con l’emozione incontrollabile dei due personaggi, dall’altra questi momenti di esplosione empatico/sonora si sospendono nei silenzi siderali, bui dello spazio quasi fino all’irreale.
In mezzo e intorno agli estremi costruiti da Nolan con l’ausilio di teorie scientifiche per la realizzazione di set e sceneggiatura del producer/fisico Kip Thorne, si muovono le nuove sinfonie di Hans Zimmer. Il suo organo suona un requiem per il pianeta Terra che porta a un livello di drammaticità interiore perfettamente in linea con la faccia di McConaughey. Il suo Cooper è emotivamente ispirato anche al ruolo di padre che ricopre nella vita. E nei duetti con la Foy questa danza di energie tra un attore vero padre e un’attrice ancora figlia viene fuori tutta.
Dietro l’indubbia operazione commerciale di dimensioni globali si staglia un raffinato sci-fi sull’epopea di un sentimento semplice che attraversa l’inimmaginabile con la speranza di una salvezza per il pianeta. Tra iperspazio e curvature temporali da cult, Nolan gestisce Terra, astronavi, buchi neri e pianeti acquatici piuttosto che ghiacciati con uno stile diverso da qualsiasi cosa vista in precedenza pur raccogliendo diverse eredità, non mancando di arricchire inaspettatamente il suo lavoro con una citazione poetica da Dylan Thomas con Non andartene docile in quella buona notte, struggente fil rouge di questo nuovo capolavoro.