Musica

Mercury Prize 2014, vincitori gli scozzesi Young Fathers con l’album “Dead”

Nato nel 1992 al fine di promuovere la migliore musica proveniente dal Regno Unito, il premio è stato assegnato a nomi come PJ Harvey Portishead, Primal Scream, Pulp, Alt-J, Elbow, Franz Ferdinand, Arctic Monkeys, Antony and the Johnsons, Klaxons e lo scorso anno James Blake

di Chiara Felice

Sono gli scozzesi Young Fathers con il loro album di debutto “Dead” a vincere l’importante premio Mercury di quest’anno. Il Mercury Prize, da qualche anno diventato Barclaycard Mercury Prize per evidenti motivi di sponsor, è uno dei riconoscimenti più ambiti della Gran Bretagna.

Nato nel 1992 al fine di promuovere la migliore musica proveniente dal Regno Unito, il Mercury Prize ha avuto negli anni un ruolo fondamentale nel veicolare parte dei gusti musicali del pubblico e negli anni ha visto vincere per ben due volte PJ Harvey, oltre che Portishead, Primal Scream, Pulp, Alt-J, Elbow, Franz Ferdinand, Arctic Monkeys, Antony and the Johnsons, Klaxons e lo scorso anno James Blake.

Diversamente dal passato, la giuria che quest’anno si è occupata della scelta delle 12 nomination, ha fatto una scelta per certi aspetti politica: si è nominato per la maggior parte artisti emergenti. L’unico caso di artista con una notevole esperienza alle spalle è stato quello di Demon Albarn con il disco “Everyday Robots”, mentre la quasi totalità delle altre nomination è andata ad album di debutto: Nick Mulvey (“First Mind”), East India Youth (“Total Strife Forever”), Kate Tempest (“Everybody Down”), Royal Blood (“Royal Blood”), FKA Twigs (“LP1”), Jungle (“Jungle”) e gli stessi vincitori Young Fathers. Anna Calvi, GoGo Penguin, Bombay Bicycle Club e Polar Bear chiudono il cerchio delle nomine.

I suoni che si alternano sul palco della Roundhouse di Londra durante la serata di premiazione sono abbastanza diversi tra loro

perché da sempre il Mercury Prize è aperto a tutti i generi musicali, anche se nessun gruppo metal è mai entrato in nomination e da più di dieci anni è assente la musica classica. C’è il jazz elettronico dei GoGo Penguin e quello più sperimentale dei Polar Bear, il rock asciutto del duo di Brighton Royal Blood, quello molto più elettronico dei Bombay Bicycle Club, fino all’elettronica pura di East India Youth. Ma soprattutto ci sono rap ed hip-hop, possibilmente incastonati in basi elettroniche eterogenee come quelle dei vincitori Young Fathers e della giovane poetessa Kate Tempest. C’è il songwriting raffinato di Nick Mulvey e il pop della cantante e ballerina FKA twigs, alias Tahliah Debrett Barnett. Infine ci sono la meravigliosa voce e chitarra di Anna Calvi e l’essenza sonora di una Londra dal fascino struggente di Damon Albarn.

Questa scelta ben precisa della giuria di dare spazio agli artisti emergenti ha dato vita, come sempre accade, a critiche positive e negative: da una parte si è apprezzata la politica di far emergere giovani talenti, dall’altra si è polemizzato sui grandi nomi assenti (Morrisey e Ed Sheeran tra gli altri). Il dato oggettivo è che, indipendentemente dalla vittoria degli Young Fathers – che si porteranno a casa 20.000 sterline – i dati di vendita degli artisti entrati nella nomination per il Mercury Prize sono in molti casi saliti di percentuali altissime, se si valuta il loro punto di partenza. Come riporta il quotidiano inglese The Independent, le vendite di Kate Tempest sono salite del 124% e quelle dei GoGo Penguin del 138% e FKA Twigs dell’83%, mentre per i più famosi Damon Albarn e Anna Calvi, la percentuale è stata solo dell’8% e del 6%.

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