Preceduta da resoconti sulle fronde interne anti-Draghi, il Consiglio Direttivo della Bce nella sua riunione di novembre (l’ultima nella vecchia sede) ha deciso di non decidere, ma piuttosto di lanciare importanti segnali ai mercati. Se i tassi di riferimento sono rimasti ai minimi storici (quello di rifinanziamento da settembre è allo 0,05%) l’impressione, confermata dalla dichiarazione finale e dalle parole in conferenza stampa dello stesso Draghi, è che l’iniezione di liquidità nel sistema sulla scia del Quantitative Easing americano, sia ormai alle porte.

“Il Consiglio Direttivo – si legge nel testo finale – ha dato allo staff della Bce e ai rispettivi comitati l’incarico di garantire la tempestiva preparazione di ulteriori misure da adottare, se necessario,” ovvero nel caso “le misure attuali non fossero necessarie” a garantire una ripresa sostenibile e un rialzo dell’inflazione. Come se il messaggio non fosse abbastanza chiaro, Draghi ha anticipato: “A dicembre saremo pronti a una discussione ad ampio raggio sulle decisioni da prendere, su questo siamo in una fase avanzata”.

La svolta invocata da più parti (in mattinata si era aggiunta persino l’Ocse nel suo report sul G20) appare insomma alle porte. Su questa svolta, comunque, il Consiglio Direttivo appare compatto. Draghi ha smussato su eventuali opposizioni interne: “Non c’è una linea di confine fra nord e sud, non ci sono alleanze di nessun tipo. E’ normale che ci siano divergenze, succede nel Fomc della Federal Reserve, succede nel Regno Unito e in Giappone, ma la migliore risposta è data dal fatto che la dichiarazione introduttiva, che contiene notizie importanti, è stata approvata all’unanimità“.

A convincere anche i riottosi (Germania in testa) le crescenti criticità dell’economia dell’Eurozona. “Dall’estate i nuovi dati e i sondaggi hanno indicato un indebolimento della crescita”, scrive la Bce nel documento finale, mentre l’inflazione “dovrebbe restare ai bassi livelli attuali prima di tornare a salire progressivamente nel 2015 e nel 2016”. I rischi insomma “restano al ribasso” e i “passi in avanti insufficienti sulle riforme strutturali nei Paesi rappresenta un altro rischio allo scenario economico”.

Eppure, ha aggiunto Draghi, nei trattati “la flessibilità esistente dovrebbe permettere ai governi di far fronte ai costi delle riforme, di sostenere la domanda e di raggiungere una composizione delle misure di bilancio più favorevole alla crescita”. Un promemoria contro gli alibi, da qualunque direzione arrivino. “Finché non si tratta di finanziamento monetario, possiamo fare tutto”. Nelle scorse settimane, ha ricordato il presidente della Bce, “abbiamo avviato un nuovo programma di aquisto di covered bond e presto inizieranno gli acquisti di Abs“. Già da soli questi interventi rappresentano un “nuovo allentamento della politica monetaria”, ma è evidente che il QE è un’altra cosa.

Gli acquisti – già avviati – di covered bond sono ammontati nelle prime 2 settimane a poco più di 4 miliardi: se aggiungiamo quelli imminenti di Abs e le iniezioni di liquidità delle Tltro comunque il totale resta lontano dall’obiettivo – confermato ancora da Draghi di riportare “il bilancio Bce ai livelli di marzo 2012“, e quindi con un incremento di circa 1.000 miliardi di euro. La differenza insomma – e si parla di centinaia di miliardi – dovrebbe essere rappresentata da acquisti di titoli: e non a caso Draghi ha invitato i commentatori a guardare “non solo al livello ma anche alla composizione del bilancio”. “Abbiamo una varietà di strumenti a disposizione – ha aggiunto il presidente della Bce – finché non si tratta di finanziamento monetario restiamo nel nostro mandato”.

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