“Chi è pronto al cambiamento, chi ha il coraggio di cambiare, viene sempre considerato un traditore da coloro che non sono capaci di nessun cambiamento, e hanno una paura da morire del cambiamento e non lo capiscono e hanno disgusto di ogni cambiamento”. No, non sono parole di Matteo Renzi. Le troviamo, invece, a pagina 269 dell’ultimo romanzo di Amos Oz, Giuda (Feltrinelli), che arriva 12 anni dopo Una storia d’amore e di tenebre, la sua straordinaria autobiografia. Un titolo fortemente evocativo, perché di tradimento tratta il romanzo. O meglio: sul tradimento s’interroga l’autore attraverso i suoi personaggi. Fra i quali, sì, c’è anche Giuda Iscariota, e c’è pure Gesù. Ma soprattutto c’è Shemuel Ash, una delle figure più tenere che Oz abbia mai tratteggiato. Arruffato e goffo, impetuoso, perennemente e inutilmente di corsa: “la testa riccia che insegue la barba e il corpo piegato in avanti verso la testa, le gambe che precipitano dietro al tronco, come per timore di perderle”. Un venticinquenne “timido, sensibile, socialista, asmatico, propenso tanto all’entusiasmo quanto alla precoce delusione”. E con un’idea fissa: Gesù è stato un grande uomo, un ebreo morto da ebreo che non si è mai sognato di essere il figlio di Dio. È stato Giuda, in realtà, a crederlo divino e a favorire la sua morte per dimostrane l’immortalità. Altro che traditore, dunque, Giuda. Piuttosto il primo dei seguaci di Gesù.
È la tesi del dottorato di ricerca di Shemuel, che però non riesce a concludere i suoi studi per i problemi finanziari della famiglia. Per lo stesso motivo accetta il lavoro offerto da una strana coppia di suocero e nuora: vitto, alloggio e un piccolo stipendio per far compagnia qualche ora al giorno a Gershom Wald, vecchio e invalido. Ma in quella casa carica di ricordi e di lutti, Shemuel troverà nuovi stimoli per la sua ricerca, altri traditori e tradimenti che non necessariamente furono tali. Primo fra tutti, Shaltiel Abramavel, consuocero di Gershom e padre di Atalia, sua nuora.
Abramavel era stato cacciato nel 1947 dal Comitato esecutivo sionista e dall’Agenzia ebraica per essersi opposto a Ben Gurion e soprattutto all’idea di uno stato ebraico. “Lo chiamavano traditore perché era sempre insieme agli arabi” ricorda Wald. “Mi diceva: perché avere tanta fretta di fondare qui nel sangue e nel fuoco uno staterello lillipuziano, a prezzo di una guerra eterna?”. “Nella storia” fa dire Amos Oz a Shemuel “compaiono di tanto in tanto persone coraggiose che precorrono i tempi e per questo vengono chiamati traditori oppure pazzoidi”. Traditori come Charles De Gaulle quando decise di smantellare con le sue stesse mani il governo francese in Algeria e concedere piena indipendenza alla maggioranza araba. Come Abramo Lincoln quando affrancò gli schiavi. Come gli ufficiali tedeschi che cercarono di uccidere Hitler. Addirittura come lo stesso Ben Gurion quando disse sì alla spartizione di quel pezzo di terra in due stati, uno ebraico e uno arabo.
Amos Oz scrive una storia ambientata ieri (la fine degli anni Cinquanta) che affonda le sue radici nella nascita del cristianesimo e si trascina ben oltre la fine del romanzo, arriva fino ad oggi, alla drammatica situazione di quel lembo di terra senza pace. Amos Oz è uno scrittore, racconta storie, disegna personaggi. Affonda la lama nel cuore dei problemi, non offre soluzioni. Lancia tanti stimoli e allarga lo sguardo da diversi punti di vista. Ma che storie le sue storie, e con quale superba scrittura le sa raccontare.