E’ ovvio che pagare meno tasse significa conseguire utili maggiori; che possono essere investiti nell’impresa, aumentando l’occupazione; dal che consegue un incremento nella domanda di beni di consumo e correlativa espansione del mercato. Insomma, meno tasse, più crescita. Ed è altrettanto ovvio che, se è possibile, le aziende si spostano dove il regime fiscale è più favorevole. Il punto è che i regimi fiscali sono tanto più favorevoli quanto il Paese dove sono praticati è ricco e prospero: quando la base imponibile è elevata, è sufficiente un prelievo fiscale minore per assicurare beni e servizi pubblici. Così avviene in Gran Bretagna, Germania, Olanda. Ci sono poi i Paesi che cercano, per così dire, il colpo gobbo: Cipro, Irlanda, Malta praticano aliquote fiscali bassissime. In questo modo i Paesi più ricchi attirano una quota sempre maggiore di imprese, diventano sempre più ricchi e quindi in grado di applicare aliquote di imposta sempre più basse; e i Paesi poveri sono costretti a drenare tutto il possibile per pagare quanto meno stipendi e servizi essenziali (nel caso italiano, per corrispondere quel 30% in più a titolo di tangenti che costituisce il nostro fardello personale).Naturalmente non sempre è possibile trasferire l’azienda in un Paese a fiscalità favorita.
Quello che ha fatto Marchionne , installare effettivamente la holding di controllo in Olanda, evidentemente non è stato possibile per D&G che (secondo me, il Tribunale e la Corte d’appello di Milano ma non secondo la Cassazione) hanno installato in Lussemburgo una scrivania e un impiegato. Ma è certo che, se il regime fiscale europeo resta la pelliccia di leopardo che è, il flusso di aziende e ricchezza dai paesi poveri a quelli ricchi si incrementerà.Per questo
la sparata di Renzi, assai criticabile nelle forme e non proprio precisa nel contenuto, ha una motivazione condivisibile. I Paesi forti dell’Unione europea non devono più imporre politiche di bilancio che rendono di fatto impossibile per i Paesi più deboli garantire i servizi essenziali e l’occupazione e, contemporaneamente, stimolare la crescita delle imprese attraverso una congrua riduzione della pressione fiscale. Consentire le vistose differenze dei regimi fiscali riscontrabili nell’Ue significa semplicemente essere forte con i deboli e debole con i forti. Forse l’Italia farebbe bene a considerare la possibilità di entrare sul mercato delle aliquote di imposta. In fondo, un’azienda che paga il 60% di un utile di 1.000 (se ancora ce n’è) arricchisce il Paese molto meno di 3 aziende che pagano ognuna il 20% di un fatturato complessivo di 6.000 o più.