25 anni fa crollava il muro di Berlino, e con esso tutta una galassia fatta anche di simboli e d’immagini.
Se avvenimento epocale chiamava, centinaia di fotografi risposero ed andarono a documentare gente comune che picconava, militari increduli, Rostropovich col suo violoncello ai piedi del fresco rudere e via elencando l’album di quei giorni memorabili. Ma mentre la maggior parte di queste fotografie, pur storiche, denotano un approccio cronachistico, molti grandi fotografi avevano raccontato il muro prima della caduta, con le sue conseguenze sulla vita quotidiana dei berlinesi. Ecco, per esempio, una foto del 1962 di Cartier-Bresson.
Per un muro abbattuto (e fotografato) ieri, pare oggi che i fotogiornalisti abbiano bisogno di un nuovo muro.
Non quello di Berlino – per carità! – ma un muro per… disturbare.
Si chiama #Dysturb l’iniziativa che un collettivo di fotografi ha messo in campo per “disturbare” appunto le coscienze e stimolare attenzione verso una realtà: l’editoria, come sappiamo e per ragioni varie già spesso indagate, trascura sempre di più il buon fotogiornalismo (ci sono per fortuna eccezioni, ma poche), relegando la fotografia a riempitivo, illustrazione, evasione.
Il gruppo di fotografi di #Dysturb, piegato economicamente ma non nel grado di motivazione, ha fatto questo: nottetempo e clandestinamente ha iniziato a trasformare la città stessa (prima Parigi, poi altre) in una sorta di giornale sotto il cielo, incollando ai muri e per strada gigantografie realizzate (a loro spese) con immagini inizialmente concepite per le pagine di giornali e riviste. Gaza, Irak, Centrafrica, Ucraina, eccetera.
Ebbene, l’attualità visiva portata sotto casa, in maniera tra l’altro illegale, ha catalizzato l’interesse dei cittadini e, paradossalmente, quello della stampa stessa. Che ritiene di scarso appeal il buon fotogiornalismo salvo farne notizia. Notizia di omessa notizia, insomma… geniale!
Questa “sfida pedagogica” ha ottenuto visibilità, attenzione, consenso e solidarietà. E ha forse dimostrato due cose che, nella realtà, si contrappongono: da una parte l’interesse dei lettori per un racconto alto, consapevole e organizzato dei fatti tramite la fotografia ha ancora (e forse più di prima) grandi potenzialità, dall’altra buona parte dell’editoria in crisi crede che un ottimo modo per tagliare le spese sia proprio quello relativo alla parte fotografica; e così, anche così, la crisi della carta stampata accelera la sua corsa che rischia di terminare contro… un muro.