Sono dipendenti dello Stato, eppure lo Stato versa loro lo stipendio con mesi di ritardo, costringendoli a rimandare il pagamento dell’affitto, delle bollette, a chiedere aiuto alle famiglie. Così, per centinaia di ‘supplenti brevi’ in Italia lavorare è quasi un incubo. “Non si può più andare avanti in questo modo – attacca Raffaella Morsia, segretario generale della Flc Cgil Emilia Romagna – invito i supplenti a inviare le bollette da pagare direttamente al premier Matteo Renzi e al ministro Stefania Giannini, perché o si protesta, o la situazione non cambierà mai”.

Una vera e propria campagna, quella lanciata dalla Cgil emiliano romagnola, che arriva dopo anni di denunce, appelli pubblici, scioperi e manifestazioni, tutti inascoltati, volti a chiedere provvedimenti utili a snellire il procedimento burocratico che determina il ritardo nel pagamento degli stipendi dei supplenti brevi. Quei lavoratori, cioè, chiamati dalle scuole a sostituire gli insegnanti assenti per periodi di tempo limitati: giorni, settimane o, a volte, qualche mese. Tanto che ogni anno sono centinaia i supplenti delle scuole elementari, medie o superiori che si trovano a dover fare i conti con una busta paga che non arriva, e spese su spese da pagare: il denaro per spostarsi nella città dove si trova la scuola che li ha chiamati, il vitto, l’alloggio.

Qui in Emilia, ad esempio, è capitato più volte che il proprietario di un’abitazione affittata da un supplente chiamasse la scuola presso cui era impiegato per chiedere una garanzia sull’affitto non pagato, così da non buttarlo fuori di casa – racconta Morsia – o ancora, che un preside prestasse di tasca propria qualche euro a un supplente che non aveva il denaro necessario a pagarsi il vitto”. Ad oggi, spiega la Cgil, nessuno dei supplenti entrati in servizio a settembre ha ancora visto un euro di stipendio. “Non sappiamo quantificare di preciso quanti siano i lavoratori in questa situazione in Italia – continua il segretario della Flc Emilia Romagna – anche perché molti supplenti brevi, che in pratica sono l’ultimo anello della catena alimentare della scuola, i più precari tra i precari, spesso hanno paura a denunciare queste difficoltà. Ma non credo di sbagliare se dico che sono centinaia”.

Il problema, ancora una volta, è la burocrazia. Le scuole, infatti, comunicano le supplenze fatte dai docenti al ministero dell’Economia, ma i fondi per le retribuzioni arrivano dal bilancio del ministero dell’Istruzione. E siccome la procedura spesso si inceppa, scattano i ritardi. “Noi abbiamo provato a più riprese a chiedere al Tesoro di risolvere la situazione – sottolinea Morsia – ma il Miur dice che è colpa del Mef, e il Mef che è responsabilità del Miur. E chi ne fa le spese? Ovviamente il lavoratore, già costretto a pagare di tasca propria trasferte e pernottamenti”.

Così c’è chi è costretto a rinunciare a una supplenza perché non ha il denaro per mantenersi in attesa che lo Stato lo retribuisca. O chi, ancora, a metà incarico si licenzia. E poi ci sono le scuole, che puntualmente comunicano al ministero il fabbisogno finanziario necessario a pagare i docenti temporanei senza ricevere risposta. “Siamo a novembre – racconta Fernando Tribi, direttore amministrativo delle scuole superiori Mattei di Fiorenzuola D’Arda, in provincia di Piacenza – e non abbiamo ancora ricevuto un euro dal ministero, quindi non siamo in grado di pagare i colleghi che dall’inizio dell’anno stanno sostituendo chi è assente consentendo così il regolare funzionamento delle attività didattiche. Tra l’altro molti di questi supplenti sono fuorisede e vivono enormi difficoltà nel saldare i debiti contratti, ad esempio, per affittare una casa o una stanza. La situazione è drammatica e vergognosa. Quando il governo Renzi aveva detto che stava studiando un provvedimento per eliminare le supplenze non credevo intendesse eliminare prima i supplenti”.

In più, le scuole non hanno ancora ricevuto dallo Stato i fondi necessari a finanziare l’attività didattica, ad esempio per pagare le bollette o comprare nuovo materiale. Solitamente tali risorse vengono erogate in due tranche, una relativa ai primi 8 mesi dell’anno scolastico, e una per gli ultimi 4. “Ma non sono arrivati nemmeno quelli – conferma Tribi – quindi la situazione è gravissima per tutti. Altro che ‘buona scuola’, per ora abbiamo una scuola assolutamente stracciona, che peraltro espone i propri lavoratori a situazioni incresciose nello stesso luogo dove dovremmo insegnare ai ragazzi il rispetto per il prossimo”.

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