Chi sa parli. E’ questo che chiede l’appello del Fatto Quotidiano dopo le assoluzioni nel processo di appello per la morte di Stefano Cucchi. E’ questo che chiede il buon senso, lo stato di diritto, la solidarietà tra esseri umani, la lotta contro i soprusi. Sarebbe ovvio, se non fosse che in Italia siamo oramai abituati allo spirito di corpo e all’omertà che avvolge le forze dell’ordine.
Bianzino, Uva, Ferrulli, Saturno, Cucchi: qualcuno sapeva e nessuno ha mai parlato. Quei pochi che lo hanno fatto sono rimasti inascoltati.
Ve lo ricordate l’audio che usci dal carcere di Teramo? Si sentiva il comandante che criticava chi aveva menato un detenuto in reparto. “In sezione un detenuto non si massacra”, spiegava alterato. “Si massacra sotto… Abbiamo rischiato una rivolta perché’ il negro ha visto tutto”. Lo abbiamo sentito con le nostre orecchie, non erano ipotesi fantasiose. Era lo stesso periodo della morte di Stefano. Per due volte si sono aperte indagini e per due volte i magistrati inquirenti sono stati costretti a chiedere l’archiviazione. Medesima la motivazione: l’omertà dell’ambiente carcerario non permette di arrivare da nessuna parte.
Come abbiamo ascoltato quell’audio, così abbiamo guardato le foto del corpo di Stefano Cucchi massacrato. Nessuno di noi vuole girarsi dall’altra parte, e lo stiamo dimostrando in queste ore. Si stanno organizzando manifestazioni in tutta Italia, i social network sono pieni di messaggi di sdegno e di solidarietà alla famiglia Cucchi. Ognuno di noi è Stato.
E allora chi sa qualcosa – e sicuramente qualcuno e più di qualcuno sa qualcosa e più di qualcosa– la renda nota. Questa volta è diverso, questa volta chi sa non deve avere paura di parlare. Ha l’intera Italia dietro di sé. Terremo gli occhi aperti, terremo alta l’attenzione, non permetteremo che ci siano ritorsioni contro chi dirà la verità. Sarà compito di ciascuno di noi, ognuno nel proprio ruolo: giornalisti, esponenti di associazioni, cittadini. Non accetteremo più che un crimine compiuto da coloro che dovrebbero proteggerci e rappresentarci rimanga nel silenzio.
E’ questo il momento: chi sa parli.