Cita Giorgio Napolitano tirando in ballo Pico della Mirandola e racconta per la prima volta dell’attività dei servizi segreti dentro i penitenziari italiani. La prima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, dopo la trasferta al Quirinale, è dedicata alla fine dell’interrogatorio di Angelo Siino, il “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra”, che da collaboratore di giustizia ha svelato i retroscena di vent’anni di appalti a cavallo tra Stato e mafia. “Non sono mica Pico della Mirandola, ma mi arrangio” ha detto il pentito, rispondendo ad una domanda dell’accusa. Un riferimento diretto al presidente della Repubblica che nella sua deposizione del 28 ottobre scorso aveva citato proprio il filosofo medievale noto per la sua memoria d’acciaio. Il fatto inedito nella deposizione del pentito, però, è tutto contenuto in una frase sui rapporti tra detenuti e apparati dell’intelligence. “In carcere erano più i detenuti che collaboravano con i servizi segreti che quelli che non ci collaboravano”, ha detto Siino. Recentemente, agli atti dell’inchiesta sulla trattativa, i pm Roberto Tartaglia, Nino Di Matteo e Vittorio Teresi hanno acquisito la documentazione sul Protocollo Farfalla, l’accordo siglato nel 2004 dal Sisde guidato da Mario Mori e il dipartimento amministrazione penitenziaria, che stabiliva la gestione delle informazioni provenienti dai boss mafiosi detenuti. In uno degli allegati del Protocollo, i servizi prevedevano di mettere a libro paga alcuni boss di primo livello (come lo stragista di via d’Amelio Fifetto Cannella) che in cambio di dazioni di denaro avrebbero accettato di diventare dei veri e proprio confidenti degli 007. Un capitolo, quello sul Protocollo Farfalla che è ancora oggetto d’indagine da parte della procura palermitana.
Durante la sua deposizione, Siino ha riavvolto indietro il nastro del suo racconto fino agli anni ’80, quando cioè sarebbe stato contattato dall’ex ministro della giustizia Claudio Martelli.” Ho incontrato Martelli a casa mia, mi fu raccomandato questo incontro da Emanuele Brusca: mi chiese di farlo votare per lui e mi disse che era stato un liberale e avrebbe perorato delle leggi gradite a questi personaggi. Io pensavo che doveva essere un po’ pazzo a farmi questi discorsi. In quell’occasione Martelli fu uno dei primi eletti in Sicilia”. Il riferimento è per le elezioni politiche del 1987, quando secondo diversi collaboratori di giustizia, Cosa Nostra decise di dare un segnale alla Democrazia Cristiana, spostando i suoi voti verso il Partito Socialista di Craxi e Martelli. “Prima – ha spiegato Siino -c’era stato un prequel di questa situazione che doveva essere perorata da tutti i mafiosi per cercare di far votare questi personaggi del partito socialista, fu consegnata una scaletta: votare Martelli, e poi un personaggio di Marsala e uno di Partinico. In questa occasioni mi venne detto che questi erano gli ordini e io li ho eseguiti. Poi Emanuele Brusca mi disse che dovevo incontrare assolutamente Martelli”. Dichiarazioni, quelle sull’incontro con Martelli, che Siino aveva già riferito in passato, e alle quali l’ex ministro aveva già replicato, raccontando di “non ricordare alcun incontro con Siino, anche se durante una campagna elettorale tutto è possibile”.
Poi, però, negli anni ’90 Martelli diventa guardasigilli del settimo governo guidato da Giulio Andreotti e chiama Giovanni Falcone in via Arenula, a dirigere la sezione affari penali del ministero: una scelta che viene vista come una beffa negli ambienti di Cosa Nostra. “C’era un certo sfottò da parte di certi democristiani vicini all’ambiente di Cosa Nostra, quando nel ’91 Martelli chiamò a lavorare con se Giovanni Falcone” ha raccontato Siino. È per questo che da quel momento Cosa Nostra decise di eliminare l’ex guardasigilli. “Mi chiamò Brusca e mi disse che lo volevano uccidere, mi spiegò: questo cornuto deve capire che non si può tradire impunemente un’organizzazione di questo tipo, ci ha preso per il culo e ora deve pagare”.