Milano, anno 1985. Sulle passerelle le modelle indossano giacche con le spalline e pantaloni a vita alta. Un modo per dire agli uomini: ci siamo anche noi e per fare carriera non abbiamo bisogno delle forme. Parigi, anno 1990. Le donne vestono una nuova uniforme: l’austero tailleur, ennesimo tentativo di nascondere la fisicità e mettere in risalto le proprie capacità. New York, anno 2000. Le signore di tutte il mondo capiscono che non serve vestire come un uomo per avere successo, così riscoprono il piacere della moda, esaltandone il lato più frivolo e giocoso.
Ma queste fasi sono soltanto gli ultimi gradini di una storia (quella tra le donne e la moda) che parte molto tempo prima e che viene interamente ricostruita dalla mostra “Women Fashion Power”, ospitata dal Design Museum di Londra fino al 26 aprile 2015. Progettata e allestita dall’architetto Zaha Hadid, l’esposizione ripercorre le varie tappe della moda al femminile attraverso vestiti, interviste e prodotti multimediali. Un viaggio per capire quanto lo stile ha influenzato il genere femminile e il loro approccio con il mondo del lavoro. “Women Fashion Power” prova a rispondere a un quesito ancora aperto: quanto conta la moda nella carriera di una donna? Abbastanza, a guardare gli esempi riportati. La mostra passa in rassegna venticinque figure femminili di oggi e di ieri che, con il loro stile e il loro talento, hanno rivoluzionato il mondo. Si va da Margaret Thatcher a Coco Chanel, passando per Lady Diana e Hillary Clinton. Ma anche la principessa Charlene di Monaco e Anne Hidalgo, attuale sindaco di Parigi; per loro lo stile è un modo per esprimere la personalità e, al tempo stesso, sfogare la propria vena creativa. “La moda è sinonimo di sogno – ha raccontato Charlene di Monaco -. Gli stilisti spesso sono capaci di trasformare la silhouette femminile e renderla ancora più bella”.
E non è l’unica a pensarla così; Skin, leader della band inglese Skunk Anansie, ha ammesso: “Lo stile che ho sul palco è una parte fondamentale del mio essere: io sono sempre influenzata da cosa indosso”. Una filosofia che la stilista Vivienne Westwood, altra figura chiave della mostra, cerca di raccontare fin dagli anni ’70, quando con le sue creazioni contribuì a creare lo stile punk: “Tutti i miei abiti danno più sicurezza e permettono di giocare con la propria identità”, ha raccontato. Un gioco che a volte può trasformarsi in ricordo: “Ho una mantella che Prada ha realizzato per me in occasione dell’apertura del MAXXI a Roma”, ha raccontato Zaha Hadid, “e ogni volta che la indosso mi tornano in mente le emozioni che ho provato in quella giornata”. Gli abiti si sposano con la politica, gli affari e la cultura, imponendosi come un linguaggio del corpo a lungo ignorato.
D’altronde nessuna di queste figure si è mai servita del proprio aspetto fisico per conquistare il proprio spazio nel mondo del lavoro. Come ha ricordato Colin McDowell, curatore della mostra insieme a Donna Loveday: “Queste donne non possono essere definite figurini né assidue seguaci della moda. Sono loro a creare il proprio guardaroba, ma solo per dimostrare chi e cosa sono”. Un modo per ricordare che un abito può aiutare a tirar fuori sfumature e peculiarità, ma non potrà mai rimpiazzare le competenze acquisite nel proprio cammino. Attraverso la moda queste donne (e altre nel corso dei decenni) hanno affermato la propria individualità, cercando ogni giorno di raccontare una storia: la loro.