Il Fatto del Lunedì

Meditare fa bene: la rivoluzione (scientifica) della contemplazione

La meditazione ha effetti benefici su mente e corpo. La copertina del numero di Novembre della più prestigiosa rivista di divulgazione scientifica, Scientific American, dedicato all’argomento, rappresenta l’ennesimo importantissimo passo nel processo di avvicinamento tra una disciplina millenaria come la meditazione e parte della comunità scientifica contemporanea.

Quindici anni di ricerche con persone che praticano le varie forme di meditazione hanno infatti dimostrato non soltanto che questa attività modifica funzione e struttura del cervello. Ma stanno cominciando a evidenziare che le pratiche contemplative possono avere un effetto sostanziale anche sui processi biologici critici per la salute fisica.

Questa scoperta – si legge nell’articolo – si affianca ai recenti sviluppi delle neuroscienze secondo i quali il cervello di un essere umano adulto può subire profondi cambiamenti grazie alle esperienze. Un processo simile sembra verificarsi quando meditiamo. Il cervello dei meditatori di lunga data può mostrare le seguenti modifiche: l’insula e la corteccia prefrontale – nello specifico le aree 9 e 10 di Broadmann, deputate al coordinamento di memoria e azioni complesse – mostrano un volume aumentato, probabilmente a causa del rafforzamento delle connessioni neurali implicate. Mentre l’amigdala, regione coinvolta nell’elaborazione di emozioni legate alla paura, risulta di spessore diminuito.

La “mindfulness”, una delle tre forme di meditazione analizzate dagli autori (tra loro c’è anche un monaco buddista), si sta diffondendo molto negli ultimi anni. Negli Usa, dove già da un paio d’anni si parla di mindful revolution, è utilizzata nelle scuole, nelle aziende a rischio stress lavoro-correlato e nelle vite dei singoli individui alla ricerca di un antidoto ai ritmi frenetici della vita quotidiana.

Questa disciplina richiede al soggetto di prestare attenzione alle sensazioni, positive o negative, che provengono dall’esterno e dall’interno del proprio corpo con l’obiettivo di raggiungere uno stato di ‘consapevolezza non reattiva’: riuscire cioè a percepire e accogliere tutto ciò che avviene nel momento presente, senza attivare giudizio o reazioni “col pilota automatico”. Primo risultato: interruzione del chiacchiericcio interiore che normalmente affolla i nostri pensieri. Se eseguita con costanza, questa pratica porterà a una maggiore capacità di gestire il dolore cronico, riduzione dei sintomi di ansia e depressione, calo sensibile della cosiddetta “ruminazione” (l’abitudine a pensare e ripensare allo stesso problema in continuazione nel tentativo di trovare una soluzione).

Gli psicologi clinici John Teasdale (Università di Cambridge) e Zinden Segal (Univ. di Toronto) nel 2000 hanno sottoposto pazienti con almeno tre episodi pregressi di depressione a sei mesi di mindfulness associata a terapia cognitiva, riducendo del 40% il rischio di ricadute nell’anno successivo, rispetto al gruppo di controllo. La pratica contemplativa fornisce quindi una sorta di protezione dalla eventualità di nuovi episodi depressivi.

Ma non finisce qui: gli studi hanno dimostrato che la meditazione aumenta anche la nostra capacità di “controllare” le risposte fisiologiche di base, come le infiammazioni e i livelli di ormone dello stress nel sangue. Dati che forniscono una prima ma potente spiegazione agli effetti benefici prodotti dalla meditazione sullo stato generale di salute degli individui.

In questi 15 anni le tre forme più diffuse di esperienza contemplativa sono state analizzate con le più recenti tecniche di brain imaging: durante l’esecuzione di ciascuna di esse si attivano diverse aree del cervello.

1. Focused attention: in questa pratica la concentrazione è diretta al ciclo del respiro. Anche ai più esperti può capitare di ritrovarsi con la mente altrove (mind wandering) e a dover riportare l’attenzione su inspirazione ed espirazione. Questo fenomeno è stato mappato in tutti i suoi passaggi: distrazione (corteccia cingolata posteriore); consapevolezza dello stato di distrazione (insula anteriore e corteccia cingolata anteriore); riorientamento della consapevolezza (corteccia prefrontale dorsolaterale e lobo parietale inferiore); mantenimento della concentrazione (corteccia prefrontale dorsolaterale).

2. Mindfulness: è caratterizzata da una diminuzione dell’attività neuronale nelle aree collegate all’ansia, come la corteccia insulare e l’amigdala.

3. Compassione e gentilezza amorevole: in questo caso il soggetto coltiva sentimenti di benevolenza verso gli altri, amici o nemici che siano. La regione del cervello che si infiamma quando cerchiamo di metterci nei panni dell’altro è la giunzione temporoparietale.

In conclusione, seppure con le dovute cautele, si può dire che la ricerca sulla meditazione fornisce nuovi spunti sui metodi di ‘training mentale’ che possono migliorare la salute e aumentare il benessere degli esseri umani. Anche se, avvertono gli autori, si rendono necessarie ulteriori ricerche: per approfondire le scoperte già acquisite, per conoscere eventuali effetti negativi della meditazione, per scoprire qual è la durata ideale della sessione di ciascuna pratica e come adattarla alle specifiche esigenze di ciascuno di noi.

Per saperne di più

@PaolaPorciello