Il 4 novembre si è celebrata in tutta la Russia la festa dell’Unità Nazionale russa. Trasferimento sul piano civile di una idea della Chiesa Ortodossa russa, tempestivamente abbracciata da Putin.
Grandi manifestazioni di popolo in tutte le regioni del paese, a cominciare dalla Crimea, ultima arrivata – per meglio dire ritornata – nella madrepatria della maggior parte dei suoi abitanti. A Mosca hanno sfilato, nel centro, oltre 80.000 manifestanti in un tripudio di bandiere tricolori. Al solito impossibile definire il livello di spontaneità di queste manifestazioni, ma il giudizio si può formulare solo in modo relativo. Cioè confrontando questa con altre due manifestazioni in due zone della città il più lontano possibile dal centro. Il dato più evidente – clamoroso direi – è che anch’esse erano “nazionaliste”.
Anti Putin, l’una e l’altra e , a riprova che il presidente russo non ha particolari problemi nel controllo della situazione interna, entrambe sono state autorizzate dalla polizia. Invece i filo-occidentali, quelli che un tempo si chiamavano i “democratici”, sono stati in casa, silenziosi. A Mosca, ma non si segnalano altre loro manifestazioni in nessuno dei grandi centri della Russia profonda. Nemmeno a San Pietroburgo, dove le voci li davano talmente forti da fare scrivere su certi loro blog che sarà proprio dalla città di Pietro che, un giorno, partirà la rivolta contro il regime. Insomma: questa volta la piazza era dei russi-russi, non dei russi-occidentali.
Ma restiamo ai nazionalisti. Che significa esserlo, in Russia, contro Putin? La manifestazione di Ljublino, autodefinitasi la “Marcia russa”, ha raccolto all’incirca 2000 persone. Così scrive “The Moscow Times”, quotidiano di Mosca in lingua inglese che non manifesta alcuna simpatia per il Cremlino. Come non credergli? Sono l’estrema destra xenofoba, fascista, nazistoide, monarchica, quella del tricolore nero, giallo e bianco. Aspettano il ritorno dello zar. Si sprecano le icone. Lo striscione più bello gridava “Per la rivincita della Russia”, con la scritta incastonata tra i ritratti, appunto, degli ultimi Romanov. In termine tecnico classico si direbbe sottoproletariato allo stato brado.
In una società capitalista con enormi differenze sociali, una piccola percentuale con queste caratteristiche si potrebbe definire fisiologica. In molti paesi europei, occidentali e orientali, i nazisti e assimilabili sono sicuramente più numerosi che in Russia. Non si può proprio dire che siano loro a rappresentare lo stato d’animo maggioritario del paese.
La terza manifestazione nazionalista, la seconda in opposizione a Putin, si è svolta, anch’essa in periferia, nel nord-ovest della capitale. Ancora fidandoci del “Moscow Times” le assegnamo una partecipazione di 1200 persone. Chi sono questi? Lo slogan centrale di questo terzo raduno è la critica a Putin per non avere invaso l’Ucraina e liberato l’intero Donbass russo dal giogo nazista di Kiev. Con una eccessiva semplificazione si potrebbe dire che costituiscono un’opposizione di sinistra. Tra gli slogan più gettonati questo: “Per l’Unione Sovietica”. In realtà di “sinistra” c’è solo qualche cosa, ma c’è molto più “spirito russo”, molto più ortodossia religiosa, molto più anti-occidentalismo, molto più nostalgia dell’Unione Sovietica come impero.
Tra Ljublino è questi non c’è nessun feeling. Ma non pochi legami sentimentali, politici e perfino organizzativi ci sono tra questi ultimi e una parte della dirigenza militare che ha sconfitto Kiev nei campi del Donbass. In qualche modo questa minoranza corrisponde alle speranze di un intervento russo. Speranza che ci sono state a Lugansk e Donetsk fin dall’inizio del conflitto e che, fino ad ora, Putin ha disatteso.
In realtà l’invocazione a Putin di “salvare i russi di Ucraina” ha una valenza politica sotterranea molto forte. La scarsa presenza in piazza non riflette la realtà delle cose. Mentre la “Marcia russa” resterà marginale, come lo è sempre stata dalla caduta dell’Urss, questi umori potrebbero dilagare in caso di una ripresa dell’offensiva di Kiev contro i cosiddetti “ribelli”. E si tenga presente che milioni di russi di Ucraina resteranno comunque nel territorio ucraino anche se le due repubbliche della Novorossia se ne andranno verso l’indipendenza. Kharkov, Dnepropetrovsk, Odessa sono città con grande presenza russa. A Odessa i russi sono maggioranza.
Che ne sarà di loro nessuno può prevedere. La crisi continua, la ferita è aperta e non pare sia possibile rimarginarla nel breve tempo. Putin non è caduto nella trappola dell’intervento e non ci cadrà. Ma cosa potrà accadere in caso di sviluppi sanguinosi che si avrebbero se Kiev decidesse di passare all’offensiva (magari appoggiata da vicini molto interessati, come la Polonia e le repubbliche del Baltico?
Per ora Putin incassa un incremento di consensi. Nella grande, “sua”, manifestazione per l’Unità Nazionale sono confluiti tutti i partiti della Duma, anche quelli che continuano a dichiararsi opposizione su un largo spettro di questioni sociali. In piazza ci sono andati i comunisti di Ziuganov, i liberaldemocratici di Zhirinovskij, i socialdemocratici di Mironov. E i tre leader hanno parlato in piazza, mentre Putin riceveva al Cremlino il Patriarca.
Il 4 novembre, in sostanza, attorno a Putin si è creata – per ora soltanto simbolicamente, ma è il preludio di una intesa strategica – una specie di unione per la salvezza nazionale. Che aggiunge forza a un presidente ai vertici della popolarità. L’unità del popolo russo è assicurata, di fronte a una situazione internazionale che mostra segni di peggioramento. Le sanzioni americane (e l’Europa seguirà) diventeranno molto “lunghe” con la vittoria repubblicana negli Stati Uniti. Non per caso il canale tv Russia 24 annuncia da due mesi un programma tv che significativamente sarà intitolato “L’inverno è vicino”. Un chiaro avvertimento a Kiev. L’unico problema, non per oggi ma per domani, è che la Russia è un paese multinazionale. E Putin dovrà saper tenere l’equilibrio tra la maggioranza russa e tutte le minoranze non russe. E non sarà facile.