L'ex dirigente della società di tlc è passato in due giorni dai Caraibi a Rebibbia, dove ha trascorso tre mesi di carcere, più altri nove agli arresti domiciliari. "Sono stati momenti durissimi, ma sarebbe stato un peccato non averli vissuti"
Tra poco Silvio Scaglia tornerà sul banco degli imputati. La Procura di Roma, dopo averlo arrestato nel febbraio 2010 con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata a una colossale frode fiscale e dopo averlo tenuto agli arresti per un anno (tre mesi in carcere e il resto ai domiciliari), non molla la presa nonostante l’assoluzione con formula piena del tribunale nell’ottobre del 2013. I pm Giancarlo Capaldo e Francesca Passaniti stanno predisponendo l’appello. Scaglia nel frattempo è diventato, suo malgrado, il simbolo della riforma in chiave anti-magistratura annunciata da Renzi alla Leopolda del 2013: “La storia di Silvio (Scaglia non Berlusconi) ci dimostra che la riforma della giustizia è ineludibile”.
Il Fatto ha incontrato Scaglia, che nel giugno 2013 ha comprato con un fondo la società di intimo e moda La Perla, alla vigilia dell’appello per farsi raccontare il suo punto di vista. Non solo sul processo e sulla giustizia, ma anche sulle telecomunicazioni. La storia di Scaglia somiglia alle montagne russe. Dopo aver creato nel 1999 dal nulla Fastweb (ceduta nel 2007 a Swisscom) nel 2008 era il 13° italiano più ricco con un patrimonio di 1,2 miliardi. Due anni dopo, nel febbraio del 2010, Scaglia è passato da Antigua a Rebibbia e ha scoperto l’importanza delle lamiere arrugginite delle scatolette di tonno.
Lei è stato tre mesi in carcere a Rebibbia, cosa le resta di quella esperienza?
Sono momenti durissimi, ma sarebbe un peccato non averli vissuti. Ho scoperto che ci sono tanti innocenti e molti altri che hanno sbagliato ma vogliono migliorarsi e non sbaglierebbero più se fossero aiutati.
Come è cambiata la sua vita?
In due giorni sono passato dalla vacanza su una splendida barca a vela nel mare dei Caraibi alla cella di isolamento. Avevo paura di uscire. Nel momento più nero della mia vita però lo sportellino della porta blindata si apre e vedo la faccia di un giovane zingaro. Era dentro per furti e mi dice: ‘Amico è stata proprio una brutta giornata oggi per te, ma noi ti abbiamo fatto un piatto di pasta’.
Forse sapeva che lei è Silvio Scaglia e lo ha fatto per quello…
No. Lo facevano con tutti, come poi ho scoperto. Quel giovane ladro con un piatto di pasta calda mi ha cambiato la vita. Ho capito che fuori non c’era un mondo di belve, ma persone che soffrivano come me. Dopo tre giorni sono uscito dall’isolamento e per prima cosa mi sono avviato verso la doccia. Non avevo nulla con me. Un altro mi ha visto e mi ha offerto le sue ciabatte.
Ci racconta questa storia della scatola del tonno di Rebibbia?
Il rancio non è male, ma i detenuti cercano di cucinare per restare vivi. Sono costretti però a preparare i cibi nel bagno, tra il lavandino e il cesso alla turca. Lì ho scoperto l’importanza della lamiera del tonno. Non ci sono coltelli e per tagliare le zucchine per esempio tutti usano l’unica lamiera di una scatoletta di tonno di chissà che epoca. Da anni quelle lattine sono vietate e si possono usare solo quelle di cartone. Qualcuno però, previdente, ha conservato la lamiera come se fosse una reliquia. Ogni sera ce la passavamo di cella in cella per potere affettare i cibi e cucinare. Poi magicamente la lattina tornava al suo posto segreto.
Ha più sentito nessuno?
Mi sento con alcuni ex detenuti e mi scrivo spesso con una persona che è ancora lì dentro e penso sia uno dei tanti che dovremmo aiutare quando escono. Apprezzo molto le battaglie dei radicali e ricordo i sorrisi dei detenuti ogni volta che entrava Rita Bernardini a Rebibbia.
Renzi ha detto che la sua storia dimostra che la riforma della giustizia è urgente. Lei conosce il premier?
No. Non l’ho mai conosciuto. Lo stimo ma ho sempre il timore di trasformarmi in un simbolo per una delle fazioni in lotta. Io vorrei che il problema della giustizia e delle carceri si risolvessero senza dividerci. Il primo problema dell’Italia è proprio questa incapacità di fare sistema senza fazioni. Il secondo problema è la corruzione pesantissima.
Lei avverte molta corruzione in giro?
Tantissima!
Che lo dica un grande imprenditore è molto preoccupante.
A me invece preoccupa che non lo dica nessuno. Confesso di avere un’ammirazione per l’approccio della leadership cinese. Loro hanno avuto almeno il coraggio di dire: ‘La corruzione è il nostro primo nemico da combattere’. Fino a quando non guarderemo in faccia il problema non inizieremo a combatterlo.
Cosa pensa della scelta della Procura di presentare appello?
Me lo aspettavo. Io sono certo di essere assolto completamente dopo un primo grado così dettagliato, ma gli effetti del processo sono molto pesanti. Per me è una perdita di risorse, di tempo e di soldi. In tanti Paesi in caso di assoluzione l’appello non c’è. Oggi decide da solo il pm. Forse si potrebbe pensare almeno a un passaggio interno di verifica. Se un giudice potesse valutare oggi gli elementi a mio carico, io ritengo che il mio appello non passerebbe.
Quanto ha speso finora?
Circa due-tre milioni di euro tra i legali, il costo del blog per informare i cittadini, i viaggi.
Quanto le è costato il volo noleggiato per farsi arrestare, di cui ha parlato Renzi?
Mi è costato 100 mila euro. Ero su una barca ad Antigua quando arriva una telefonata disturbata da Londra. Mio figlio di nove anni si era svegliato con un agente che frugava sotto il letto con il mitra. Mia figlia dice che avrebbero fatto saltare in aria la cassaforte se non le davo la combinazione. C’era un mandato di arresto che mi descriveva come membro di un’associazione a delinquere. Non avevo scelta: ho noleggiato un Challenger per il lungo raggio perché non volevo essere arrestato nei Paesi di transito. Gli avvocati mi hanno detto che sarei andato in galera ma volevo spiegare tutto ai giudici subito. Invece l’interrogatorio di garanzia è stato una farsa. Sono rimasto tre mesi in cella e poi nove mesi ai domiciliari in Val d’Aosta.
Lei poi è stato assolto con formula piena, ma il Tribunale del Riesame e la Cassazione l’hanno tenuta in galera.
La pressione dei media ha travolto prima il Riesame e poi la Cassazione. Fino al processo non c’è stato modo di rivedere la mia storia.
C’era stata una frode fiscale da 300 milioni sull’Iva grazie ai rapporti commerciali della ‘banda Mockbel’ anche con Fastweb. I pm dal loro punto di vista hanno ritenuto che lei, fondatore e amministratore per tanti anni di Fastweb, dovesse sapere qualcosa.
Invece il processo ha dimostrato che io non sapevo nulla della frode e non conoscevo nessuno dei signori che avrebbero creato un’associazione a delinquere con me. Fastweb andava sempre a credito Iva e non ha tratto nessun vantaggio da questa frode fiscale realizzata da altri. La sentenza è chiarissima.
Il suo arresto è stato annunciato in una conferenza stampa nella quale l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso, allora capo della Direzione Nazionale Antimafia, era a fianco del pm Giancarlo Capaldo e parlava di ‘strage del diritto’.
Io abolirei le conferenze stampa. Non è civile che un pm parli in tv del tuo arresto. Passa il messaggio che sei colpevole. In quelle condizioni è difficile per i giudici annullare l’arresto. Per fortuna siamo arrivati al processo immediato. Da un lato è servito a prolungare i termini per tenermi agli arresti domiciliari per un anno. Dall’altro però ho potuto difendermi.
Oggi lei si occupa de La Perla che ha comprato da un’asta fallimentare. Perché questa scelta?
La Perla è un’opportunità fantastica. Siamo leader assoluti nel segmento alto dell’intimo e stiamo espandendo l’offerta nel mondo del lusso in tutto il mondo. Produciamo in Europa, in Italia e Portogallo, e vendiamo l’80 per cento all’estero.
Cosa pensa dell’articolo 18?
L’articolo 18 è un ostacolo alle assunzioni e agli investimenti. Prima di assumere un lavoratore in Italia ci si pensa su molto. L’articolo 18 favorisce quella quota di persone che non vogliono lavorare e danneggia chi vorrebbe essere assunto per farlo.
Fastweb è stata la prima società a portare la fibra nelle case. Ora si parla di un piano per cablare l’Italia. Cosa ne pensa?
Io non farei un piano dall’alto di tipo governativo. Soprattutto non mi piacciono questi discorsi sull’unione delle forze tra società diverse. Io lascerei le due reti esistenti, Telecom e Fastweb, in concorrenza tra loro. Non c’è bisogno di un grande piano pubblico per cablare l’Italia, ma di società private in concorrenza tra loro che abbiano una struttura azionaria trasparente, senza scatole cinesi.
Si parla di una fusione Mediaset-Telecom. Potrebbe nascere un gigante che unisce rete e contenuti con conflitti di interesse connessi?
Io penso che le reti e i contenuti debbano restare separati. Un’aggregazione Mediaset-Telecom potrebbe diventare un blocco alla concorrenza. Io preferisco la neutralità della rete rispetto ai produttori di contenuti. Lo scenario migliore per i consumatori è quello che prevede due reti in concorrenza tra loro, che siano aperte ai contenuti di tutti gli operatori. Il concetto di neutralità della rete è fondamentale. La rete non deve sposarsi con un fornitore di contenuti perché poi la tentazione di privilegiare quel fornitore sugli altri è troppo forte.
Da Il Fatto Quotidiano del 7 novembre 2014