Cultura

Taylor Swift vs Spotify: come si vince il disco di platino in due settimane

© Big Machine Record
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La notizia di qualche giorno fa era che nel 2014 nessun artista avrebbe superato il milione di copie vendute con un nuovo album. Niente disco di platino, quindi. Parlo del mercato americano, dove il disco di platino è ancora fermo a quella cifra, perché da noi ormai da anni arriva molto prima, e un milione di copie non le vende neanche uno di quei mostri sacri che risponde al nome di Vasco Rossi, Laura Pausini o Eros Ramazzotti.

Nessuno, quindi, vende più, neanche in America, dove i pirati della rete finiscono in galera. Nessuno vende più perché, questo hanno pensato di farci credere, il futuro della discografia è nello streaming, ancora più che nel download. Poco conta se sostituire Youtube con Spotify non abbia cambiato di un briciolo le carte in tavola, gli artisti continuano a non guadagnarci praticamente nulla, con conseguente morte annunciata di un intero settore (la provocazione del Song reader di Beck, di mettere in un cd gli spartiti dei suoi brani invece che i file audio, riportando di fatto indietro gli orologi di qualche secolo, quando la musica la si poteva ascoltare solo dal vivo, non era altro che una visione futuristica non troppo diversa da quella dei cyberpunk che avevano immaginato internet).

Nessuno venderà oltre un milione di copie, questo è scritto agli atti. Anche se proprio in chiusura di anno è arrivata un’artista che ha bruciato questa notizia, superando l’ambita meta. Oltre un milione e duecentomila copie di 1989, questo il titolo del suo nuovo album, nonché anno della sua nascita, nella prima settimana: doppio record. Non solo, infatti, Taylor Swift, questo il nome della cantante e attrice titolare di 1989, ha sfornato il solo album capace di conquistare il disco di platino nel 2014, eccezion fatta per la colonna sonora di Frozen, ma ha anche stracciato il record di copie vendute in una settimana, risalente ormai al 2002, e raggiunto all’epoca da Eminem con The Eminem Show.

Ok, c’era una notizia e ora non c’è più. E quindi?, direte voi. Quindi succede che Taylor Swift, cantante che nasce nel country e che è arrivata al pop tout-court, un po’ come la Juliette interpretata da Hayden Panettiere nel serial tv Nashville, non si è limitata a vendere un botto, lasciando che a trainare il suo nuovo album, il quinto in carriera, fosse la hit Welcome to New York, una sorta di omaggio non solo alla città citata nel titolo, ma anche a quella decade così bistrattata ma dura da farsi dimenticare, ma ha anche deciso di andare controcorrente, o semplicemente di non lasciarsi fregare dalla discografia: appena uscito 1989, a record ottenuto, ha deciso di ritirare le sue canzoni da Spotify. Un addio doloroso, questo, perché Spotify, che ha un po’ mestamente salutato la cantante invitandola a tornare sui propri passi, ha perso un cavallo da sedici milioni di contatti al mese, non esattamente noccioline. Solo che Taylor Swift, forte del suo successo, ha deciso di fare a modo suo. Volete la mia musica: compratevela.

Considerando che, nella classifica di Forbes delle cantanti più ricche al mondo, Taylor è al secondo posto con sessantaquattro milioni di dollari, dietro Beyoncé che praticamente la doppia, c’è da dire che nessuno può mettere in dubbio le capacità della ragazza di saper gestire i propri affari.

Ora, mettiamoci pure che una presa di posizione dura contro la rete da parte di chi, come lei, è finita in uno di quei leaks che tanto fanno discutere, con uno dei più famosi sex tape usciti negli ultimi anni, fatto che potrebbe pure risultare dotato di un valore quasi metaforico. E mettiamoci che, Spotify lo si può anche rifiutare, ma Torrent è lì vivo e vegeto (quanto pagherei per avere accesso ai dati di scaricamento illegale di Torrent, per sapere quali sono gli artisti più scaricati, quella sì una classifica vera e interessante da controllare), la morale che sta dietro questa storia è che se la musica è finita (gli amici se ne vanno), per artisti capaci di azzeccare hit e sound giusti, è un po’ meno finita che per gli altri.

Prima di chiudere una deviazione, che fa tanto colore. Nonostante la riottosità di Taylor verso la rete, un suo brano è sbalorditivamente finito primo in classifica su iTunes Canada, sul volgere di ottobre. Sorprendentemente perché si trattava di otto secondi di silenzio, titolo: Track 3. Da principio si è pensato a un altrettanto sorprendente omaggio ai 4:33 di John Cage, poi si è capito che si trattava di un errore nel caricare il pre-download di Welcome to New York, acquistato sulla fiducia da fan di bocca buona. Se c’è una morale anche dietro questo aneddoto, onestamente, mi sfugge.

Ora, volendo mettere una chiosa, tanto per accendere le polveri più di quanto non abbia già fatto citando John Cage nel titolo di un post dedicato a una popstar, concludo dicendo che auspico che realtà come Spotify vadano a gambe all’aria, sempre più boicottate da artisti di livello internazionali, come la Swift, quanto da quelli più squisitamente indie, come la nostra Cristina Donà. Intendiamoci, non auspico un ritorno a un passato, giusto un po’ più futuribile di quello che in effetti c’è stato, tipo Steampunk, ma non necessariamente il futuro che ci stanno prospettando deve per forza andarci bene senza discutere.

Me lo auguro, perché, a scanso di equivoci, non è di Taylor Swift che parlo in questo post, ma di come oggi la musica venga fruita quasi esclusivamente attraverso canali, il dowloading, prima, lo streaming, poi, che portano in tasca degli artisti pochi spiccioli rispetto al passato, con conseguente implosione di un sistema, apocalisse e walking dead. Io, se devo ascoltare un artista, per farmi un’idea, o anche per una recensione, preferisco ricorrere a Torrent, ché se non deve guadagnarci l’artista almeno non ci guadagni niente neanche chi l’artista dovrebbe proteggere e tutelare.