Domenica 9 novembre saranno 25 anni dalla fatidica apertura del Muro di Berlino. Una festa, un avvenimento che ha un grande profondo significato per la storia del XX secolo, ben oltre i confini del mondo tedesco. Il giorno prima sabato 8 novembre Wolf Biermann alle ore 20.00 terrà un simbolico concerto al Berliner Ensemble per ricordare questo anniversario. E sarà un concerto del tutto speciale, perché Wolf Biermann, non è uno qualunque. Oltre ad essere certamente il più grande cantautore tedesco, è un poeta, un uomo che ha provato sulla sua pelle i segni della storia, è il simbolo tragico ma integrale del dramma del sogno socialista e della Germania divisa.
Tanto per chiarire ai pochi lettori che non lo conoscessero, Wolf Biermann nasce nei pressi di Amburgo nel 1936, da una famiglia di operai comunisti ebrei, nella quale il padre era stato deportato ad Auschwitz, dove morì nel 1943. Nel 1953 dopo la maturità, essendo egli stesso comunista e non condividendo la politica dell’allora Germania federale, chiese e ottenne la cittadinanza della Germania democratica e si trasferì a Berlino Est, andando a vivere in Chaussestrasse. Qui frequentò a fasi alterne l’Università von Humboldt e incominciò le prime esperienze artistiche fino a fondare nel 1961 il Bat – (Berliner Arbeiter-Theater) Teatro Berlinese dei Lavoratori e degli Studenti. Nel frattempo incominciò a frequentare, anche per motivi sentimentali, la famiglia del grande chimico Robert Havemann, comunista e resistente in epoca nazista, poi oppositore del regime della Ddr.
In quegli anni, volutamente, la sua attività di poeta e di autore di semplici ballate restò confinata nei confini della Germania orientale, dove però incominciava a essere percepito come un pericoloso critico del sistema comunista per diventare in breve, con i suoi amici, oggetto delle attenzioni dalla Stasi. Nel 1968 la sua fama giunse in occidente, con un album semiclandestino (Warte nicht auf be∫re Zeiten) registrato nella sua casa di Berlino con mezzi a dir poco artigianali (nel sottofondo si ode il rumore del tram che passa), che ottenne un clamoroso successo e fece conoscere anche ai ticchi tedesco occidentali la sua attività di critico «da sinistra» del socialismo tedesco. A partire da quegli anni la sua vita però divenne ogni giorno più difficile per le critiche che Biermann, con uno spirito caustico (alla Lutero!) e una precisione tipiche della migliore tradizione tedesca, non mancò di sollevare nei confronti di quel sistema socialista nel quale egli aveva creduto con tutto se stesso.
Solo chi ha provato le sofferenze continue di una vita del genere (ma che facilmente possono essere almeno immaginate, ad esempio, dalla visione di film come Le vite degli altri di Von Donnersmarck) può capire la situazione di un intellettuale oppositore, isolato da tutti e continuamente oggetto di vessazioni, nella Ddr di quegli anni. Finalmente nel 1976 il governo Honecker, dopo avergli concesso il permesso per una trionfale tournée nella Bundesrepuplik su invito del sindacato dei metallurgici, gli revocò la cittadinanza e gli impedì il rientro a Berlino. Da allora – due volte esule – Biermann ha proseguito il suo percorso intellettuale, che qui abbiamo solo brevemente menzionato, ma che certamente gli consente di poter essere considerato, uno dei più influenti, originali e autentici intellettuali tedeschi del XX secolo.
Purtroppo la Germania (unita) del dopo-Muro non fu quella – come spesso accade – di quanti avevano lavorato, combattuto, rischiato e in alcuni casi erano morti per costruirla. La Germania 25 anni dopo quella notte fatale del novembre 1989 non è certamente la Germania di Biermann, che dovette scendere in piazza per battersi che gli archivi della Stasi non fossero distrutti. La Germania del 2014 è quella della Merkel – che risulta dagli archivi Ddr svolgesse attività di controllo “ravvicinato” appunto del grande chimico Havemann – di quegli uomini e di quelle donne che opportunisticamente ad Est come ad Ovest avevano coltivato i propri affari all’ombra di governi che consentivano o praticavano la tortura dei dissidenti; la Germania dei business alla Schröder, europea solo fintanto che serve a riempire la pancia dei suoi elettori, ma pronta a puntare il dito contro i paesi “fratelli” in difficoltà. A Berlino come in molti altri posti del mondo (non solo in Italia!) la vittoria non è mai dei vincitori e dei combattenti, ma degli opportunisti e dei furbi.
Anche per questo l’attualità di uomini come Biermann, e in genere di tutti i veri e grandi poeti, non è solo quella di aver capito molto prima degli altri quali erano i veri problemi e magari aver cercato di indicarli, ma è soprattutto quello di aver offerto risposte che valgono per tutti i tempi e tutti i luoghi, anche oggi per noi stessi, come nel testo di uno dei suoi capolavori, Ermutigung (incoraggiamento), che qui, come omaggio alla sua arte e gioia, per i lettori che vorranno avvicinarsi a questo grande uomo, vogliamo riprodurre in traduzione italiana.
INCORAGGIAMENTO (per Peter Huchel)
Non lasciarti indurire
in questo tempo duro.
Quelli troppo duri si spezzano,
quelli troppo appuntiti pungono
e si sbriciolano subito.
Non lasciarti amareggiare
in questo tempo amaro.
I potenti tremano –
a vederti dietro le sbarre –
ma non di compassione.
Non lasciarti spaventare
in questo tempo di terrore.
È quello che vogliono,
che noi gettiamo le armi
già prima della grande battaglia.
Non lasciarti sfruttare,
sfrutta il tuo tempo.
Non puoi tuffarti e scomparire,
tu hai bisogno di noi e noi abbiamo bisogno
proprio della tua allegra serenità.
Non vogliamo tacerlo
in questo tempo di silenzio.
Il verde spunta fra i rami,
vogliamo mostrarlo a tutti
in modo che ne siano sicuri.
(Wolf Biermann)