Mentre a Gerusalemme la tensione tra israeliani e palestinesi torna, per l’ennesima volta, a salire, un altro fronte, spesso considerato di secondo piano dai media internazionali, torna alla ribalta nella questione in Medio Oriente: ovvero la vicenda degli arabi-israeliani, quel 20% di cittadini musulmani con in tasca il passaporto con la stella di David.
La storia di Hanin Zoabi, nota deputata palestinese del partito Balad, formazione araba rappresentato al Knesset, è stata sospesa dall’assemblea dopo aver ricevuto la più più pesante sanzione mai comminata ad un parlamentare dello Stato ebraico: per sei mesi non potrà intervenire in aula mentre le sarà consentito di entrare nell’edificio, occupare il suo seggio ma non parlare. La censura arriva per una frase pronunciata dalla deputata ad un organo di stampa israeliano, Channel 2 News Online: “I soldati dell’IDF si comportano da terroristi come ISIS. Anzi peggio: questi uccidono con un coltello, uno per volta, quelli fanno fuori dieci palestinesi solo schiacciando un bottone” . La vicenda è di poche settimane fa ed ha scatenato il fuoco di fila dall’establishment israeliano: “E’ ora di arrestare i deputati-terroristi”, ha tuonato Avigdor Lieberman, ministro degli esteri del governo Nethanyau, uno che si batte da anni per far mettere al bando i partiti arabi in Israele, mentre dal partito laburista si sono alzate voci che chiedono di privarla della cittadinanza e di deportarla. Contrario il Likud. No, dicono: non deportatela altrimenti fugge in Qatar insieme al fondatore di Balad, Azmi Bishara, ex deputato arabo-israeliano ricercato dalle autorità di Tel Aviv ed ora residente nell’emirato.
Insomma, con ironia il sito israeliano-progressista +372, la definisce a tutti gli effetti “il nemico pubblico numero uno” vista l’attenzione ossessiva che la politica (ebraico) israeliana le riserva. E probabilmente non ha tutti i torti: le misure draconiane che il Knesset ha riservato alla prima donna eletta in un partito arabo israeliano fino ad oggi farebbero effettivamente pensare che la signora sia una sorta di reincarnazione (al femminile) di Osama Bin Laden. E invece la sua prima sfida contro il Knesset che risale al 2010, più che il medioevo talebano ricorda il pacifismo europeo: vi dice niente la Freedom Flottilla? Lei era a bordo. E quell’iniziativa le costò la perdita di tutti i privilegi parlamentari all’estero ed una denuncia penale che rischiava di impedirle di correre per le elezioni del 2013: il comitato elettorale la dichiarò non candidabile ma una sentenza last minute della corte suprema israeliana ribaltò il pronunciamento aprendole le porte del secondo mandato al Knesset.
Da allora il rapporto con la maggioranza israeliana, di destra e sinistra, è stato di rottura totale. Hanin Zoabi non è certo conciliante e moderata, non è una donna governativa che oscilla tra falchi e colombe, come il ministro Tzipi Livni ma una intellettuale con un solido background nell’associazionismo e nell’attivismo, che tra l’altro frantuma tutti gli stereotipi antiarabi messi violentemente in piedi dai colonnelli di Nethanyau nella loro aggressiva comunicazione quotidiana. Quarantacinque anni, figlia di un ex sindaco di Nazareth rappresenta bene il dramma di quel 20% di cittadini che vivono nella terra di nessuno, tra Israele e Palestina dove sono considerati da entrambe le parti “traditori”: l’establishment israeliano li vorrebbe fuori dallo Stato degli ebrei, i palestinesi li guardano con sospetto ma i nodi che sollevano, soprattutto i rappresentanti di Balad, sono nodi cruciali per la stessa esistenza di Israele.
Come conciliare la natura di Stato ebraico con la celebre definizione di “unica democrazia del Medio Oriente”? Come tutelare la libertà d’espressione in un paese in Stato di conflitto permanente?
Alla prima domanda la risposta l’ha data lo studioso (ebreo-israeliano) Oren Yiftachel: Israele è una “etnocrazia”, ovvero un regime formalmente democratico che non adotta però misure di integrazione tra etnia dominante e minoranze ma piuttosto un approccio segregazionista. Ne è un esempio la frequente accusa a Hanin Zoabi di essere un “cavallo di troia” per i musulmani e le continue delegittimazioni che subisce dai colleghi ebrei.
Sul piano della libertà d’espressione vale lo stesso ragionamento: per quanto dure, estreme e radicali le posizioni della deputata di Balad sono e restano opinioni di un rappresentante del parlamento che non sostiene affatto la distruzione di Israele ma auspica un solo Stato multietnico dove ebrei e palestinesi possano convivere come era prima del ’48. Se il suo attivismo radicale è considerato in molti ambienti governativi ripugnante, cosa dire del suo acerrimo “nemico” il ministro Lieberman che oltre averne manipolato le dichiarazioni, a proposito dei tre giovani rapiti lo scorso giugno, ha auspicato venga mandata al patibolo per alto tradimento? Si attende ora l’esito del ricorso della Zoabi alla Corte Suprema contro la censura impostata dal comitato etico parlamentare.