La morale kantiana è libera dal concetto prestabilito di «bene» e svincolata dalle passioni umane. È una morale formale, aderente alla struttura della ragione, razionalmente emancipata: libera da ipoteche teologiche, non – finalmente – umana, troppo umana». Questo secondo la tradizione.
Il canone, però, è anche un cannone che distrugge il pensiero: ignorando gli autori o neutralizzandoli con comodi scranni nel pantheon. L’etereo, l’angelicato Kant è piuttosto un radicale, un rivoluzionario, un pensatore dinamitardo che rende possibile l’inserimento della pulsione nell’indeterminatezza formale della morale.
Kant è più scandaloso di Sade: il contemporaneo mostra come lo skandalon – l’eccezione, la pietra che fa cadere l’uomo – sia la moralità, non l’immoralità. La moralità è un ostacolo, dunque biblicamente skandalon. Sade, dal canto suo, è un rigido moralista: la corruzione, il guaito godereccio e la fantasia perversa sono elevati a principi morali incontrovertibili.
Sade è kantiano, mentre Kant è scandaloso.
Alenka Zupančič, Etica del reale, Orthotes, Napoli