Il centro di ricerca Indire e 22 istituti italiani hi-tech selezionati hanno firmato il protocollo per la nascita del movimento al Salone dell’educazione di Genova. Obiettivo: rivoluzionare il modo di insegnare e di apprendere
Scuole che cercano di cambiare la scuola, senza riforme imposte dall’alto, ma trasformandola dal basso seguendo la strada dell’innovazione e della tecnologia, attraverso la condivisione e il contagio tra istituti e operatori. A quanto pare è possibile fare le cose e farle in modo diverso, anche in Italia. O almeno così prova a fare il manifesto di Avanguardie Educative, un movimento nato per cambiare il modello scolastico italiano. Tra i promotori: l’istituto Indire, che si occupa di ricerca per il Miur, e 22 scuole italiane hi-tech selezionate in tutto lo Stivale. La nuova realtà ha debuttato giovedì 6 novembre al Salone dell’educazione di Genova, dove i soggetti fondatori hanno firmato il protocollo per la nascita del movimento, sottoscrivendo un manifesto che ha come obiettivo la trasformazione radicale del modello educativo e presentandosi all’Italia come una risorsa per riformare l’istruzione in modo collettivo. “Vogliamo ripensare dalle basi il modello di fare scuola, che in Italia è superato perché si fondava sulla società industriale – spiega Elena Mosa, ricercatrice di Indire – Ora è necessario adeguarsi a una società della conoscenza, dove i professori non devono più fare lezioni frontali e gli studenti devono essere attivi nell’apprendimento”.
Non è solo una questione di tecnologia, anche se sicuramente nel 2014 non si può parlare di scuola senza fare i conti con il mondo digitale, ma come si spiega nel documento di presentazione delle Avanguardie Educative, “le nuove tecnologie (Ict) non sono né ospiti sgraditi né protagonisti; offrono solo nuove opportunità per raggiungere gli obiettivi delle ‘buona scuola’: coinvolgere e motivare gli studenti nello studio, renderli protagonisti nella costruzione del sapere, sviluppare le competenze richieste oggi dalla società della conoscenza e dal mondo del lavoro”. Il punto di partenza sono 22 istituti italiani che si sono distinti nello sforzo di cambiamento su tre fattori: tempo, spazio e didattica. Con o senza tecnologia. Nell’elenco delle avanguardie dunque ci sono scuole 2.0, che fanno parte di quelle realtà sperimentali che per prime si sono dotate per esempio delle Lim, lavagne interattive multimediali, e di una rete internet a cui connettersi attraverso piattaforme dedicate, ma anche altri che hanno introdotto innovazioni nell’orario e nella durata delle lezioni o dei corsi, oppure abbracciato progetti per aprirsi all’esterno. Non è nemmeno una questione di finanziamenti, spiega la ricercatrice, perché il progetto non prevede risorse e quindi ogni scuola si è attivata in modo autonomo per cercare di declinare al meglio l’innovazione e il cambiamento sulle coordinate di tempo o spazio, collegate alla didattica. “Anche in questo e negli altri progetti che sono stati realizzati nei vari istituti – continua – si vedono la capacità manageriali dei dirigenti, che si riescono ad attivare partecipando a bandi o con iniziative di crowdfunding. Il problema non sono i finanziamenti, ma la voglia di investire e di fare, di farcela”.
Genova è stato l’atto finale del percorso di ricerca negli istituti italiani, ma anche l’inizio del movimento vero e proprio, che nelle intenzioni dovrebbe allargarsi ad altre scuole interessate a dare un contributo alla “riforma dal basso”. “Le 22 scuole che abbiamo selezionato non sono le migliori, ma le prime che hanno applicato questi concetti e che abbiamo avuto modo di conoscere. Sicuramente ce ne saranno altre che vorranno partecipare – continua Mosa – Dallo studio di questi primi istituti, abbiamo individuato 12 modelli, e ora la sfida è quella di estenderli”. Il movimento è aperto ad altri istituti che vogliano aderire, sia portando nuove idee o integrandole con la propria esperienza, oppure decidendo di adeguarsi a uno dei modelli già schedati, entrando nel sistema delle avanguardie. “Noi crediamo fortemente che la scuola sia arrivata a un livello di maturità 2.0 – conclude la ricercatrice – Ma l’innovazione vera arriva attraverso il contagio, da scuola a scuola. L’obiettivo è quello di portare a sistema l’innovazione”.