Musica

Dj: nessuno dica che non sono rockstar

Sono passati ventinove anni da quando un Luca Carboni in gran spolvero ci regalava ‘Sarà un uomo’, brano dedicato a un futuro figlio, un filone quello delle canzoni dedicate ai figli davvero ricco, da ‘Avrai’ di Baglioni a ‘Futura’ di Dalla, passando per ‘Peppino’ di Venditti e ‘Per te’ di Jovanotti.

Era infatti il 1985 quando il cantautore bolognese apriva il suo secondo album, ‘Forever’, con un brano che tratteggiava un uomo futuro, contrapposto a quello presente e passato. Tra le tante strofe una colpiva in modo particolare il sottoscritto: “stanno finendo quelli che hanno camminato/ senza scarpe/ e tutti quelli che non hanno capito/ cosa vuol dire HI-FI/ e tutti quelli che voglion le orchestre/ non si fidano dei Dj”. Mi colpiva perché già allora, che ero poco più di un ragazzino, a non concentrarsi troppo sulla lanuggine del proprio ombelico, appariva lampante che i dj, o Disco Jockey che dir si voleva, non erano esattamente solo gente che si limitava a mettere i dischi in discoteca o alle feste.

Con gli anni, poi, la figura del Dj è diventata ben altro. La sua statura artistica è cresciuta, dall’usare i piatti e i vinili, ha cominciato a usare macchine e computer, a comporre musica propria, addirittura, ricordiamo l’avvento del cosiddetto rock crossover, a entrare in line-up della band, magari al posto del batterista o del tastierista (o semplicemente a fianco di questi ultimi).

Per qualcuno, però, probabilmente per molti, la frase di Luca Carboni, ripeto, datata 1985, è ancora valida oggi. I dj non sono musicisti, suonano la musica degli altri. Al punto che, chi frequenta i social magari ci sarà incappato anche recentemente, spesso capita di leggere polemiche tra chi dj si improvvisa per una qualche serata, spesso personaggi del mondo dello spettacolo o della moda, e chi questo mestiere lo fa a tempo pieno (oggetto della polemica è, come se la prenderebbero gli attori se a recitare fossero personaggi di altri ambiti? E gli scrittori? E i cantanti? Polemica un po’ sterile, forse, visto che esistono situazioni analoghe in tutti questi campi dell’intrattenimento e della cultura).

Nei fatti per una certa parte dell’opinione pubblica e della critica i dj sono equiparabili agli attori che recitano nelle soap, per altri sono figure artistiche non solo dotate di una loro dignità e personalità, ma tra le più centrali dei nostri tempi.
In realtà andrebbe fatta un po’ di chiarezza, con l’avvento dell’hip-hop e più nello specifico della musica rap, la figura del dj è passata man mano da quella di colui che mixava tra loro vinili per accompagnare le rime degli MCs a colui che, usando sempre i vinili prima, le macchine poi, ha cominciato a elaborare musiche originali.

In questo è stato fondamentale l’incrociarsi di tali figure con quelle dei dj di Chicago, lo scomparso Frank Knuckles tra tutti, e Detroit, ma anche di New York, che nel passaggio tra 70 e 80 hanno dato vita, grazie all’avvento delle cosiddette Drum Machine, alla musica house. Il dj o dj producer, o anche solo producer, è a tutti gli effetti anche un compositore, seppur sprovvisto di strumenti classici e magari anche incapace di leggere e scrivere la musica (fattore che lo accomuna a svariati rocker, per altro).

Lo so, la sto facendo ovviamente molto ma molto facile qui, ma prendete le mie parole come suggestioni, questo non è un saggio, non potrebbe mai esserlo. Diciamo che è ormai assodato da quasi un trentennio che il dj è altro da quello che metteva i dischi alle feste delle medie di tapparelliana memoria. Mi fermo qui. Ma prima di chiudere faccio una deviazione.

Nel 1991 lo scrittore e saggista inglese Geoff Dyer ha pubblicato quella che ha oggi è la sua opera più famosa, ‘Natura morta con custodia di sax- storie di Jazz‘. Un testo a suo modo unico, al punto da aver trovato il plauso anche di Keith Jarrett, non esattamente tra gli artisti più facili a riconoscere il talento degli altri. Di che si tratta e perché ne parlo in un post dedicato ai dj? Precediamo con ordine. ‘Natura morta con custodia di sax’ prende il titolo, in italiano, da una nota fotografia di Lester Young scattata da Herman Leonard. Ed è dalle fotografie di sette grandi jazzisti che l’autore parte per delle improvvisazioni sulle loro vite, partendo dal presupposto che le vite reali siano degli standard su cui lo scrittore, esattamente come un jazzista, può dar sfogo alla propria arte.

Del resto, questo il motore di Dyer, le fotografie dei jazzisti sono tra le poche, se non le uniche, capaci di cogliere artisti nel momento in cui esprimono la propria arte, creano. Spesso ci è capitato di vedere pittori in posa, di fronte alla macchina fotografica, o scrittori seduti di fronte alla loro macchina da scrivere o computer, ma erano foto finte, fatte per chi le avrebbe guardate. I jazzisti immortalati durante i loro gig sono altro, sono artisti nel momento dell’arte.

Bene, quando ormai una ventina d’anni fa mi sono affacciato al mondo dell’editoria, inconsapevole che quello che stavo facendo non era ancora stato esattamente incasellato in un genere a sé, ho subito proposto ai primi editori con cui ho avuto a che fare qualcosa che suonava come ‘Natura morta con giradischi e vinile’, con l’idea di remixare le vite dei dj di allora, partendo da foto di loro live, dietro le macchine e i piatti. Anche loro, pensavo, fotografati durante i live, sarebbero stati immortalati nel momento della creazione, come i jazzisti. Mi sembrava una bella idea. Che però non ho mai realizzato. I dj non sono rockstar, mi è sempre stato detto, non hanno un loro pubblico di riferimento.

Bene. Sono uscite le solite classifiche di Forbes. Ce n’è una anche dedicata ai guadagni dei dj. Calvin Harris 66 milioni di dollari, uno che passa serenamente dallo stare al fianco di Rihanna al palco del Coachella Festival, secondo, con soli 30 milioni di dollari, David Guetta. Poi via via a seguire, lo svedese Avicii, 24 anni, con 28 milioni, recordman con oltre 4 milioni di copie vendute della sua hit Wake me up, brano di musica elettronica blockbuster in USA, e l’olandese Tiesto, e poi Steve Aoki, Afrojack, Zedd, Kaskade, e in chiusura di Top 10, Skrillex e Deadmau5, probabilmente le due rockstar più rockstar della nidiata, almeno da un punto di vista estetico.

Ecco, tutti oltre i 15 milioni di fatturato a testa, con hit in classifica in tutto il mondo, serate sold out, premi e quant’altro. Niente male in un periodo di discografia in crisi profonda. A proposito: chi è che non era una rockstar?