Come volevasi dimostrare. Tra quattro giorni scade il bando per comprare le aree dell’Expo e nessuno si è fatto vivo. Il disastro annunciato sta per verificarsi. Il peccato originale dell’Esposizione sta per generare le sue ultime conseguenze. E a pagare – statene certi – saranno i cittadini.
Il bando, scrivevamo ad agosto proprio su queste colonne, avrebbe potuto essere scritto così: “Cercasi masochista con fisico bestiale, grande pazienza e soprattutto tanti soldi, per lavare il peccato originale di Expo”. Perché i promotori dell’Esposizione universale, sostanzialmente il Comune di Milano (gestione Letizia Moratti) e la Regione Lombardia (impero Roberto Formigoni), hanno avuto l’ideona di fare l’Expo su aree private, comprate e pagate profumatamente. Erano agricole e valevano poco o niente: a essere ottimisti, circa 20-25 milioni. Non le avrebbe volute nessuno, senza la possibilità di utilizzarle se non per farci pascolare le pecore. Invece lì, proprio lì, si è deciso di fare Expo 2015. Ripulite, infrastrutturate con strade, treni e metrò. Abbellite con laghetti e canali. Si costituisce una apposita società, Arexpo, che nel 2011 le acquista a ben 142, 6 milioni, per darla a Expo spa che ci fa su l’esposizione. Nel 2016, alla fin della fiera, i padiglioni saranno smontati, i terreni liberati e l’area tornerà ad Arexpo. Ma attenzione: i soci di Arexpo, in primis Comune di Milano e Regione Lombardia, per comprare hanno dovuto farsi prestare i soldi dalle banche, naturalmente. Per restituirli, ora devono rivenderle. Cercano dunque qualcuno a cui appioppare quel milione di metri quadrati su cui si terrà la superfiera.
Nel bando d’agosto c’erano scritte le caratteristiche che deve avere quell’anima buona: innanzitutto deve sborsare 315, 4 milioni di euro (almeno); poi deve essere disponibile a lasciare la metà dell’area a parco e, sul resto, costruire il meno possibile e magari costruirci cose di uso pubblico. Insomma, più che un operatore immobiliare, cercano un benefattore, un santo. Naturalmente non lo trovano, infatti finora non si è fatto sotto nessuno. Così però viene alla luce la vera essenza di Expo: un’operazione immobiliare per “valorizzare” dei terreni in un’area sghemba al confine nord-ovest di Milano, chiusa tra l’autostrada dei Laghi e quella per Torino, tra la nuova Fiera di Rho, il carcere di Bollate e il cimitero di Musocco.
Chi ci perde, se nessuno si fa avanti a comprare? Il Comune e la Regione, che ci hanno messo 32, 6 milioni ciascuno. Chi ci ha comunque guadagnato? I proprietari delle aree vendute: il gruppo Cabassi, che ha intascato 49, 6 milioni; ma ancor più la Fondazione Fiera Milano, che ha messo in cassa 66 milioni.
L’incredibile paradosso di questo peccato originale è che, tra i venditori, la Fondazione Fiera è un privato che in realtà è pubblico, visto che è controllato dalla Regione Lombardia. E proprio qui sta il bello: la Fondazione, che aveva comprato quei terreni nel 2002 a 15 milioni, con la prospettiva futura di farci al massimo i parcheggi necessari per l’adiacente nuovo polo fieristico di Rho-Pero, dieci anni dopo – grazie alla bacchetta magica dei suoi dirigenti ciellini e dell’allora presidente Roberto Formigoni, incassa 142, 6 milioni, mettendo così in ordine i conti disastrati della sua controllata Fiera Milano. Per anni, è prevalsa la retorica dell’Expo, le belle parole, i buoni propositi, “nutrire il Pianeta, energia per la vita”. Ma alla fine, passata la sbornia, restano i conti. In rosso per Comune e Regione – cioè per noi cittadini. Le nostre tasse future serviranno così a ripianare i conti della Fiera. A meno che non salti fuori l’improbabile benefattore o qualche più probabile cementificatore.
Twitter: @gbarbacetto
il Fatto Quotidiano, 7 Novembre 2014