Nel corso di Margine protettivo, l’ultima operazione militare d’Israele nella Striscia di Gaza, almeno 18.000 abitazioni sono state distrutte o rese inabitabili. In un rapporto pubblicato la scorsa settimana, Amnesty International ha accusato le forze israeliane di aver ucciso decine di civili palestinesi in attacchi contro abitazioni piene di famiglie: attacchi che, in alcuni casi, hanno costituito crimini di guerra.
La presenza di un combattente in una delle abitazioni private colpite non avrebbe assolto Israele dall’obbligo di prendere tutte le precauzioni possibili per proteggere le vite dei civili intrappolati nei combattimenti. Secondo il diritto internazionale umanitario, quando divenne evidente che nell’abitazione che si intendeva colpire si trovava un gran numero di civili, l’attacco avrebbe dovuto essere cancellato o rinviato.
Nel più sanguinoso degli attacchi documentati nel rapporto, contro il palazzo al-Dali, un edificio di tre piani di Khan Yunis, sono morte 36 persone – tra cui 18 bambini – appartenenti a quattro famiglie. Israele non ha spiegato le ragioni dell’attacco ma Amnesty International ha identificato possibili obiettivi militari all’interno dell’edificio.
Il secondo peggiore attacco è stato contro un membro delle Brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, che si trovava all’esterno dell’abitazione della famiglia Abu Jame’, nei pressi di Khan Yunis. L’attacco ha raso al suolo l’edificio uccidendo 25 civili, tra cui 19 bambini.
Negli altri casi menzionati nel rapporto, Amnesty International non è riuscita a identificare alcun possibile obiettivo militare, giungendo alla conclusione che si sia trattato di attacchi diretti e deliberati contro civili od obiettivi civili, che costituirebbero crimini di guerra.
Obiettivi militari o meno, in tutti i casi illustrati nel rapporto chi si trovava nelle abitazioni non ha ricevuto alcun preavviso. Se fosse stato dato, si sarebbero evidentemente potute evitare così tante perdite di vite umane.
Alcune delle abitazioni attaccate erano piene di parenti che erano fuggiti da altre zone di Gaza in cerca di riparo. I sopravvissuti all’attacco contro l’abitazione della famiglia al-Hallaq, a Gaza City, hanno riferito le orribili scene dei corpi smembrati nella polvere e nel caos, dopo che l’edificio era stato centrato da tre missili.
Khalil Abdel Hassan Ammar, un dottore del Centro medico palestinese e abitante nell’edificio, ha raccontato: “Era terribile, non riuscivamo a salvare nessuno. Tutti i bambini erano bruciati, non riuscivo a riconoscere i miei da quelli dei vicini. Abbiamo caricato chi potevamo sulle ambulanze. Ho riconosciuto Ibrahim, il più grande dei miei figli, dalle scarpe che portava. Gliel’avevo comprate due giorni prima…”. Ayman Haniyeh, uno dei vicini, ha descritto il trauma della ricerca dei sopravvissuti: “Tutto ciò che ricordo sono le parti dei corpi, denti, teste, braccia, organi interni, tutto fatto a pezzi e sparpagliato”.
Un’altra sopravvissuta ha raccontato di aver raccolto e portato via in una borsa i “brandelli” del corpo di suo figlio.
Prima della pubblicazione del rapporto, Amnesty International aveva chiesto al governo israeliano di fornire chiarimenti sulle ragioni degli otto attacchi menzionati. La risposta è arrivata a rapporto pubblicato.