L’Italicum dovrebbe assicurare governabilità e immediata certezza del vincitore. Ma la versione votata alla Camera pone problemi di rappresentanza, mentre quella all’esame del Senato ripropone il ricatto dei partiti minori. Meglio sarebbe introdurre il doppio turno con collegi uninominali.
di Davide Vittori* (lavoce.info)
Le tre versioni dell’Italicum
Il Senato si appresta a modificare di nuovo l’Italicum.
La norma votata alla Camera, che qui chiameremo per comodità vecchio Italicum, prevede che il premio di maggioranza scatti qualora la coalizione vincente ottenga più del 37 per cento per cento dei voti. La percentuale del premio non potrà superare il 15 per cento e in ogni caso non potrà far oltrepassare alla lista o coalizione vincente la soglia del 55 per cento (340 seggi).
Ad esempio, con il 37 per cento si otterrebbe il 52 per cento dei seggi, mentre dal 40 per cento in poi, i seggi rimarrebbero fermi al 55 per cento (340) e, di conseguenza, calerebbe il premio di maggioranza.
Se, al contrario, la soglia del 37 per cento non viene superata, è previsto un secondo turno nel quale alla coalizione vincitrice sarebbero attributi 321 seggi.
Nella nuova versione, che chiameremo nuovo Italicum, il premio di maggioranza assegnato alla lista è pensato per superare la frammentazione politica e favorire, all’interno della coalizione, il maggior partito in termini di consensi elettorali. Un punto che però si scontra con l’annullamento delle soglie di sbarramento contenuto nella stessa proposta. Il “vecchio” testo ne prevede tre: 12 per cento per le coalizioni, 8 per cento per i partiti non coalizzati e 4,5 per cento per i partiti in coalizione. Con la nuova proposta sarebbero abolite.
Una terza versione, discussa recentemente tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi, lascerebbe salvo l’impianto del vecchio Italicum, con uno sbarramento al 5 per cento e un premio di maggioranza per chi ottiene oltre il 40 per cento dei voti, che dà diritto a 350 seggi. È dunque una proposta, nei fatti, sostanzialmente assimilabile alla prima.
Confronto tra vecchio Italicum e nuovo Italicum
I presupposti dell’Italicum (nella nuova e vecchia variante) sono la governabilità e la certezza di un vincitore la sera delle elezioni erano e sono due principi irrinunciabili.
In che modo vengono soddisfatti?
Dando per assodato che la certezza del vincitore venga garantita sia nel nuovo che nel vecchio Italicum grazie al doppio turno, due punti rimangono irrisolti: uno legato ai dubbi di costituzionalità del vecchio Italicum, specie in riferimento alle distorsioni della rappresentanza politica, e uno legato al principio di governabilità.
Il vecchio Italicum stabilisce una soglia minima solamente formale per il raggiungimento della maggioranza: sicuramente un passo in avanti rispetto al Porcellum; nella sostanza, tuttavia, il problema rimane ed è legato alla soglia di sbarramento infra-coalizione.
Facciamo un esempio.
Al primo turno l’esito delle votazioni vede:
1°: Coalizione A – Voti validi: 36,5 per cento (di cui partito P al 29 per cento, partito Q al 3 per cento, partito R al 4,5 per cento)
2°: Coalizione B – Voti validi: 28,8 per cento (di cui: partito X al 20 per cento, partito Y al 4,4 per cento, partito Z al 4,4 per cento)
3°: Partito C (senza coalizioni) – Voti validi 28,5 per cento
Al secondo turno si sfidano il la coalizione A e la coalizione B. I risultati sono:
1°: Partito/coalizione A – Voti validi: 48,5 per cento
2°: Coalizione B – Voti validi: 51,5 per cento
Se al riparto dei seggi i due partiti Y e Z non possono concorrere, il partito X giunto terzo al primo turno con il 20 per cento dei seggi, e quindi potenzialmente escluso dal primo turno se non si fosse alleato con altri due partiti, prenderebbe da solo 321 deputati.
La distorsione del voto “eguale”, (articolo 48 della Costituzione) censurata dalla Corte nella sentenza sul Porcellum si riproporrebbe qui in tutta la sua evidenza.
Una critica a questo ragionamento è che l’intervento del secondo turno darebbe comunque un’indicazione della volontà della maggioranza dei cittadini, posti davanti a un’opzione binaria. Tuttavia, il meccanismo di selezione del primo turno penalizza un partito forte che “corre da solo”, venendo escluso dal ballottaggio; al contrario una coalizione come quella dipinta precedentemente accederebbe al secondo turno, ma senza che circa un terzo dei voti, ossia l’8,8 per cento su un totale del 28 per cento, abbia una rappresentanza. Anche con lo sbarramento al 5 per cento della terza proposta e un premio di maggioranza garantito a chi sorpassa il 40 per cento, i problemi rimarrebbero gli stessi.
Il problema del nuovo Italicum
Con l’abbattimento delle soglie di sbarramento e il premio alla lista previsti dal nuovo Italicum, le queste problematiche si potrebbero risolvere. Lo scopo della governabilità, tuttavia, sarebbe tutt’altro che garantito.
Difatti, con il nuovo Italicum, se la lista unica fosse formata (come è probabile) con un numero di parlamentari appartenenti de facto ad altre forze politiche tale da compromettere una maggioranza monocolore, si garantirebbe a queste forze minori il potere di ricatto sulla maggioranza e l’agognata governabilità non sarebbe garantita. Anche con il “partito-nazione” prospettato da Renzi, quindi, i problemi non sarebbero risolti.
Questo meccanismo renderebbe la fiducia al governo legata inestricabilmente alla volontà dei piccoli partiti. In mancanza di collegi uninominali in cui il parlamentare deve misurare la popolarità della propria scelta, il trasformismo sarebbe comunque incentivato: la sfiducia al Governo in carica potrebbe barattarsi con la semplice promessa dell’inclusione nella lista opposta (e bloccata) alle successive elezioni (un nuovo “caso Razzi-Scilipoti” per intendersi).
Se anche una lista unica del Pd arrivasse oltre il 37 per cento con 340 seggi a disposizione, l’ago della bilancia sarebbero 26 parlamentari, che potrebbero decidere sulla fiducia al Governo. Le minoranze interne del Pd o, in caso di apparentamento con altri partiti in un’unica lista (probabile, se si tentasse una vittoria al primo turno) avrebbero un peso decisivo per la maggioranza. D’altronde, il passaggio di alcuni parlamentari (basterebbero il 7,6 per cento di defezioni) verso uno schieramento opposto al Governo non è impensabile con le liste bloccate.
Collegi uninominali a doppio turno
Qualora il parlamentarismo rimanga l’asse portante del sistema politico italiano, sarebbe dunque necessario apportare alcuni correttivi alla legge elettorale, in misura tale da garantire la vicinanza al territorio dei candidati e al contempo una certa governabilità (se questo è il principio che si vuole seguire). Senza cercare soluzioni pasticciate e che poco margine lascerebbero agli scopi prefissati dai legislatori, si potrebbe ricorrere a soluzioni sperimentate altrove, come il doppio turno con collegi uninominali sulla scorta dell’esempio dell’Assemblea nazionale francese.
I meccanismi di una simile legge darebbero un incentivo a diminuire la frammentazione partitica, se le soglie di sbarramento fossero adeguate. Inoltre, non si penalizzerebbero i partiti con radicamento regionale; anche la governabilità sarebbe garantita, con i partiti maggiori favoriti nella conquista di una solida maggioranza. Con i collegi uninominali, infine, si avvicinerebbero i partiti al territorio, mentre al trasformismo dei parlamentari non basterebbe la legittimazione di una segreteria di partito che, per opportunità politiche, decida di ospitare nelle sue fila quegli esponenti che lasciano la maggioranza per far cadere il Governo. Piuttosto, si dovrebbe passare per l’elezione e misurare la popolarità della propria scelta in un collegio.
*Laureato in Relazioni Internazionali, ha ottenuto una specializzazione con un master in Diplomazia e Politica Internazionale. Ho concluso di recente un tirocinio di ricerca presso la Radboud University (Paesi Bassi) sul rapporto tra politica estera, partiti politici e leadership.