La quantità di parole che la politica e il dibattito sociale spendono attorno a un problema sono molto spesso inversamente proporzionali al concreto investimento di risorse per la risoluzione di esso: la ‘decrescita infelice’ della Silicon Valley lombarda è la dimostrazione vivente di questa tesi. Viene comunemente chiamata Silicon Valley quel fortunato triangolo della Brianza che si sviluppa attorno a Vimercate, in cui sono sorte uno dopo l’altra moltissime aziende ad alta tecnologia, fino a fare di quel lembo di terra un’eccellenza italiana.
Nonostante il digital divide, o divario digitale volendo italianizzare il termine, con gli altri paesi europei sia molto e l’Italia nel suo complesso proceda a rilento nel settore delle telecomunicazioni (basta pensare che ad oggi il broadband delle utenze sul totale delle abitazioni è pari al 55% rispetto al 72% del resto d’Europa, con punte all’80% in Germania, Olanda, Svezia, Danimarca, Finlandia, Regno Unito), quel tramezzino di terra brianzola ha costituito un fregio avanguardistico per il nostro paese tale da attirare diverse multinazionali ad aprire delle sedi in loco. Colossi come Ibm, St, Alcatel hanno puntato sulle capacità di ricercatori ed ingegneri nostrani, riconoscendo loro un altissimo livello di know-how nel campo dello sviluppo e dell’innovazione. Ahimè, quest’interesse ha finito, complice l’incapacità e il disinteresse della politica nazionale, per trasformarsi in un boomerang: negli ultimi anni le grandi aziende stanno chiudendo o cedendo le loro sedi. In altre parole, dopo aver saccheggiato tecnologia e brevetti, riportano indietro, o delocalizzano altrove, il settore della ricerca: l’Alcatel Lucent, colosso franco-americano delle telecomunicazioni, per esempio, sta trasferendo i suoi investimenti in America del Nord, dove l’amministrazione Obama ha attuato politiche industriali volte a implementare l’alta tecnologia, o in paesi dell’Asia come la Cina, dove il mercato e la domanda di telecomunicazioni sono in continua crescita.
L’Alcatel Lucent è stata proprio questi giorni al centro della scena causa il lancio di uova al Presidente del Consiglio: Renzi è andato a Vimercate per l’inaugurazione ufficiale della nuova sede ma ha trovato ad accoglierlo un nutrito gruppo di lavoratori dell’azienda che manifestava contro il nuovo piano industriale che prevede, entro il 2015, più di 500 esuberi.
Il paradosso vuole che mentre il governo fa, a parole, dell’Agenda Digitale il suo mantra, predica di banda larga, promette di moltiplicare i megabit come pani e pesci, nei fatti non accade nulla e l’unico provvedimento ipoteticamente reale è di convincere l’Unione Europea ad escludere gli investimenti in infrastrutture digitali dal Patto di Stabilità.
L’ennesima contraddizione del governo Renzi è l’importanza orale data alle questioni digitali, al punto da essere il primo governo a inserire nel Def la banda larga, contrapposta all’assoluta inesistenza attuativa. Così, come estrema ratio, i lavoratori dell’Alcatel hanno tentato di comunicare con il premier con l’unica lingua che- paradosso carpiato- sembra capire e hanno coniato un hashtag: #NoTlc (telecomunicazioni) #NoTweet. Davanti a una minaccia del genere a Matteo tremeranno i polsi sulla tastiera. E chissà che a quel punto…