Travaglio, dicci tu. Chi è Stato? La mafia? O tutti gli uomini del Presidente…?
Dopo quasi tre ore di ascolto, a bocca sempre più aperta, ad occhi sempre più sbarrati, di quanto ho sentito sciorinare, con minuzia da archivista, da Marco Travaglio al Teatro Ciro Menotti in una uggiosa domenica milanese, la prima cosa che sono riuscita a pensare è che una residenza estera non è sufficiente. Occorre chiedere asilo politico a un paese (magari alla Corea del Sud, il cui Pil negli ultimi anni cresceva del 10%) che accolga i fuggitivi sgomenti e terrorizzati. Quali siamo noi, dopo una narrazione del genere, che accende un faro su uno dei lati più oscuri, cupi e duraturi della vita del nostro Paese. (Quasi quasi lo chiedo).
“E’ Stato la mafia“, è già il titolo volutamente equivoco sembra un’acrobazia pirandelliana, con la voce da pasionaria di Valentina Lodovini, bella e brava (anzi prima brava e poi bella) dovrebbe essere trasmessa a reti unificate, dovrebbe andare nelle scuole, dovrebbe arrivare a qualche Commissione Europea, non dovrebbero più darci la presidenza a turno del Consiglio Ue. Anzi dovrebbero sbatterci a pedate nel sedere anche fuori dal G8. Si distinguono nelle nefandezze, i Ros, reparti operativi speciali dei Carabinieri, che si “fanno sfuggire” per due volte consecutive, prima la perquisizione del covo di Totò Riina, poi la cattura di Bernardo Provenzano, per “sviste” da commedia burlesca, un ex ministro dell’Interno che scambia missive con il presidente della Corte di Cassazione, usando il Quirinale e il suo inquilino come ufficio postale, alti ufficiali dei servizi segreti che rovistano nella cartella di Paolo Borsellino con il suo cadavere ancora “fumante” accanto e fanno sparire la famosa agendina rossa, il capo delle carceri che all’indomani dell’ennesima strage, decide di abolire la carcerazione dura dei mafiosi per “dare un segnale di distensione”.
Poveretti se lo meritano. Sinanco, il Presidente della Repubblica in carica, Giorgio Napolitano, con le sue “inutili testimonianze”, rese in un procedimento dove il codice di procedura penale viene modificato ed adattato in maniera sartoriale alle esigenze della massima carica dello Stato, che pare afflitto, dietro la inutilmente spaziosa fronte, da larghe amnesie. Una carrellata di menzogne, depistaggi, falsità, atroci inganni, coperture, insabbiamenti, omicidi, stragi, non so più che altro aggiungere. Il resoconto, di base documentale, (proveniente da un archivio di carte che sparse occuperebbero un appartamento di qualche centinaio di metri quadrati), offre spunti anche per battute comiche (Berlusconi è stato condannato a un anno di servizi sociali. Vabè a lui la condanna ai vecchietti il supplizio di ascoltare sempre la stessa barzelletta, tanto sono malati di alzheimer). Tale è il senso di vuoto, di tradimento, da farmi dire, a fine spettacolo, che ci faccio ancora qui. Fuori dal teatro ragazzine trepidanti come fossero in attesa di una rockstar per chiedere l’autografo a Travaglio, sono uno spiraglio di luce per le nuove generazioni.
Travaglio mette in scena una scellerata, macabra, grottesca canzonatura della istituzioni più sacre della Repubblica, ma non inventata da lui, ma invece perpetrata con lucida meticolosità proprio dalle élite dello Stato. Da fargli esclamare: “Lo scandalo di Watergate, in confronto, è cosa da debuttanti“. Eppure diedero l’impeachment al presidente degli Stati Uniti. Noi invece a Napolitano abbiamo offerto come premio di buona condotta il secondo mandato.
Twitter: @januariapiromal