Non manca chi applaude e se la ride per la decisione di Roberto Saviano di lasciare l’Italia. Al netto di quanti, come sempre, sperano di avere un po’ di luce attaccando chi davvero ha speso la sua vita per “illuminare le oscurità”, resta il fastidio profondo di chi non ha mai sopportato la sua lotta per la legalità e la continua denuncia delle complicità e delle connivenze, ad ogni livello e di ogni colore.

Saviano, come chiunque, altro, è ovviamente criticabile, le sue tesi possono e debbono essere discusse, i suoi pronunciamenti civili e politici non sono dogmi di fede, i suoi libri  le sue partecipazioni televisive non hanno l’obbligo dell’applauso e del consenso, sempre e comunque. In questo momento, tuttavia, non stiamo discutendo di questo.

Roberto Saviano e Rosaria Capacchione, coraggiosa giornalista di Caserta, oggi senatrice del Pd, hanno appena sentito pronunciare una sentenza che ha condannato l’avvocato che li ha minacciati dentro un’aula, ma ha assolto i capi dei clan, quelli che “questi ci hanno infastidito, hanno fatto accendere i riflettori su di noi…”.

Probabilmente il difetto non sta solo nella sentenza, quanto nelle indagini che hanno preceduto il processo, ma resta la gravità simbolica di quanto è accaduto. I capi clan che hanno indicato gli obiettivi da colpire se la sono cavata: condannato il braccio, assolte le menti. Comunque la si giri, una sconfitta per chi ha dedicato la vita a contrastare le camorre, anzi ha rinunciato ad avere una vita e per questo è costretto a vivere sotto scorta, sempre e comunque, anche se non è mancato neppure chi ha ironizzato e ironizza  su questo ” privilegio”.

In questa occasione è riemerso il livore, la miseria intellettuale ed umana di chi non ha perdonato a Saviano (e alla Capacchione, e a pochi altri coraggiosi cronisti), di aver rotto, sul piano mediatico, il muro della indifferenza, della complicità, e persino del reciproco “rispetto”) tra i clan e parte del potere e della stampa locale. Abbiamo già dimenticato le inchieste sulla loggia P3? Gli intrecci tra logge e mafia? Le condanne di Dell’Utri,il clan dei Cosentino, i comuni commissariati, i giornali usati dai camorristi in galera come buche delle lettere?Abbiamo dimenticato le parole dell’ex cavaliere contro quelli che parlano e scrivono troppo di mafia e camorra e rovinano l’immagine dell’Italia all’estero?

Il capo di imputazione a carico dei Saviano, delle Capacchione e di un manipolo di coraggiosi che non si è mai arreso, è proprio quello denunciato dai camorristi: “Con le loro denunce chi hanno impedito di lavorare…“. Per questo chi vuole davvero convincere i Saviano, al plurale, a restare in Italia non deve limitarsi alla esortazione, ma ha il dovere di raccogliere il testimone, di continuare ad illuminare a giorno quegli intrecci, di dare sostegno a chi li contrasta, di dare voce e volto a chi li denuncia, di non lasciare mai solo chi sceglie la via della legalità. Le stesse associazioni dei giornalisti farebbero bene ad aprire una inchiesta ed una pubblica discussione sulla denuncia di Saviano relativa ai rapporti tra clan ed una parte della stampa locale. Sul piano istituzionale e politico servono l’immediata approvazione delle norme contro la corruzione, sull’autoriciclaggio, sul codice delle incandidabilità, sul potenziamento degli strumenti di indagine e di contrasto, ma soprattutto serve una rottura radicale politica, civile, antropologica con chi ha sempre cercato la complicità e le alleanze con i clan per fare affari e per conquistare consensi.Costoro sono ancora in azione, qualcuno partecipa anche ai tavoli delle trattative per cambiare la Cosituzione e la legge elettorale.

Qui davvero, oltre ogni slogan e battuta d’avanspettacolo, servirebbe un cambio di verso, altrimenti i Saviano lasceranno l’Italia e i Bidognetti resteranno.

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