“Non collaboro dovrei accusare tutta Casale di Principe“ (1 ottobre 2014), “Ho deciso di collaborare. Salvate la mia famiglia” (9 ottobre 2014), “Non collaboro più”. (12 novembre 2014). Tra la seconda e l’ultima dichiarazione di Giuseppe Setola, capo dell’ala stragista dei Casalesi, condannato a sette ergastoli definitivi per 15 omicidi commessi nel Casertano durante la cosiddetta “stagione del terrore” (maggio-dicembre 2008), c’erano state dichiarazioni molte nette della Dda di Napoli e dello stesso procuratore nazionale. “Setola è al momento solo un mero dichiarante e l’asticella per ammetterlo al programma di protezione sarà molto alta” aveva detto il pm Alessandro Milita il 30 ottobre scorso durante la requisitoria per l’omicidio di Domenico Noviello ucciso nel 2008 per aver denunciato chi gli chiedeva il pizzo. E sei giorni dopo anche il numero uno dell’Antimafia, Franco Roberti, aveva ribadito: “Setola è detenuto al 41 bis, non è un collaboratore ma è un dichiarante” smentendo anche che il boss fosse stato trasferito in una località segreta.
Oggi il boss, che ha confessato 46 omicidi, ha aggiunto: “Non voglio essere esaminato, voglio solo dire che ho detto un sacco di bugie per uscire prima dal carcere” e dopo aver revocato il mandato all’avvocato Rachele Merola ha nominato l’avvocato Alessandro Diana che poi ha rinunciato all’incarico. Il presidente della corte ha poi nominato un avvocato d’ufficio. A quel punto, Setola, ha detto: “Non voglio assistere all’udienza, ma voglio essere presente solo alla lettura della sentenza. Sono a Roma al carcere di Rebibbia”. L’accusa nell’udienza del 30 ottobre aveva chiesto l’ergastolo, mentre i difensori in sede di arringa avevano chiesto l’assoluzione. “Setola ha reso dichiarazioni attendibili perché ha chiamato in causa anche i complici del delitto Noviello, a differenza di numerosi camorristi, che ammettono le proprie personali responsabilità solo in appello, ottenendo peraltro sconti di pena (solitamente dall’ergastolo ai 30 anni, ndr). Lì si tratta di una dissociazione mascherata” aveva detto il pm che comunque aveva invocato il fine pena mai.
Riferendosi inoltre a Giovanni Letizia, altro killer dei Casalesi, definito “un irriducibile del clan”, Milita aveva spiegato che “nell’udienza del 16 ottobre scorso, quando si tenne il primo esame da aspirante collaboratore di Setola, Letizia disse subito che non si sarebbe pentito mandando un messaggio all’esterno. Disse che si sarebbe fatto i suoi ergastoli dignitosamente tanto prima o poi sperava che questa pena detentiva l’avrebbero eliminata” aveva pensato “al ‘papello’ di Riina e al tentativo da parte delle organizzazione mafiose di condizionare le scelte legislative”. Parlando infine della strage degli africani compiuta a Castel Volturno il 18 settembre 2008 da Setola e dal suo gruppo, Milita aveva aggiunto: “Subito dopo l’episodio fu fatto passare il messaggio che quell’efferato delitto fosse frutto di una guerra tra bande, ma non era affatto vero. Quel messaggio non fu diffuso solo dalla camorra ma anche da qualcuno dello Stato”.