Sabato e domenica scorsi alcune centinaia di persone si sono riunite a Pescara nel convegno annuale che organizza il professor Alberto Bagnai con l’associazione A/simmetrie. Tema: l’euro è una iattura e l’Italia dovrebbe recuperare la sua sovranità monetaria. Sul Financial Times Wolfgang Munchau scrive che la probabilità di una rottura della moneta unica “è più alta oggi” che nel 2012, complice l’ascesa dei populismi alla Salvini o alla Le Pen foraggiati dall’austerità.
Gli argomenti contro l’euro risuonano ovunque, ma perché ci siamo entrati? Un promemoria è nel libro Contro gli opposti pessimismi (Castelvecchi, in libreria da oggi) che raccoglie gli articoli di un economista scomparso troppo presto, Luigi Spaventa. Tra gli interventi riproposti c’è questo: “La lira nell’euro: perché è un bene”, uscito sul Corriere della Sera il 23 dicembre del 2003. Sentite cosa diceva: “Non chiediamoci quel che l’euro ha fatto per l’Europa (…). Ricordiamoci piuttosto, perché spesso lo si dimentica, che l’Italia è il Paese che più di ogni altro ne ha tratto beneficio”.
Negli anni Novanta l’Italia soffriva per un debito pubblico sempre più costoso, gli interessi valevano il 12 per cento del Pil (oggi sono attorno ai 6 punti): “L’allora ministro del Tesoro (Carlo Azeglio Ciampi), ostinatamente deciso a farcela, destramente comprese che il costo del biglietto d’ingresso per i cittadini poteva sostanzialmente ridursi se un fermo impegno a rispettare le condizioni avesse convinto i mercati: al resto avrebbe provveduto la diminuzione dei tassi d’interesse, senza né lacrime né sangue. Vi riuscì. Le misure di correzione su entrate e spese furono di solo due punti di prodotto o poco più (e la ‘tassa per l’Europa’ fu in parte restituita l’anno dopo), ma l’onere del debito si ridusse subito di oltre due punti; e, con la lira nell’euro e i tassi italiani che tendevano ai livelli tedeschi, di quasi altri quattro fra il 1997 e il 2002”. Conseguenza: “Grazie alla lira nell’euro, imprese e cittadini hanno pagato un minor costo per un aggiustamento fiscale comunque necessario. Ma hanno anche tratto un beneficio diretto: per entrambi, migliori e più abbondanti condizioni di finanziamento e minore esposizione agli choc che colpiscono le monete deboli”. C’è stata l’inflazione da euro, il prezzo delle zucchine passato da 1000 lire a un euro. Ma per Spaventa non fu colpa della moneta bensì della domanda rigida in settori poco liberalizzati che ha permesso di alzare i prezzi impunemente.
Qualunque colpa si voglia imputare oggi all’euro, bisogna ricordarne i benefici prodotti (che noi abbiamo sprecato). Dopo un simile calcolo, l’effetto netto è molto meno negativo di quello agitato dai sui detrattori.
Il Fatto Quotidiano, 12 novembre 2014