Flavio Tranquillo, nel suo libro 'Altro tiro, altro giro, altro regalo', ha raccolto la testimonianza del direttore di gara che decise di non convalidare il tiro della vittoria livornese. Ecco un estratto
E’ il 27 naggio 1989. A Livorno si gioca gara 5 della finale scudetto di basket tra i padroni di casa della Enichem e la Philips Milano. Mancano 6 secondi, Milano è avanti di un punto. Livorno cerca di capitalizzare l’ultima azione: Fantozzi per Forti, appoggio al tabellone e canestro. Livorno campione d’Italia? No. Perché un arbitro convalida, l’altro no. Annulla: canestro a tempo scaduto. Sul parquet è rissa. I giocatori non sanno chi ha vinto. I cronisti neanche. La Philips vince il campionato. Il resto è polemica, che inizia dopo quel fischio di sirena di 25 anni fa e arriva fino a oggi. Flavio Tranquillo, nel suo libro Altro tiro, altro giro, altro regalo, ha raccolto la testimonianza di Pasquale Zeppilli, il direttore di gara che decise di non convalidare il tiro della vittoria livornese. Ecco un estratto:
Quell’arbitro-coda era Pasquale Zeppilli, che da allora ha modificato il suo cognome in Zeppillo. “Mi trovavo in una posizione ideale, dietro Fantozzi, con una buona visuale di Forti e soprattutto vicinissimo al tavolo – è il suo ricordo – il che mi ha permesso di sentire molto bene la sirena e coglierla nel momento in cui Forti stava raccogliendo la palla, annullando immediatamente”. Facile l’obiezione: l’arbitro-testa, Grotti, stava sotto il canestro e segnalò canestro valido più fallo. La convalida non afferiva però a una valutazione del cronometro, impossibile per la sua posizione, bensì alla dinamica del contatto falloso. Prova ne sia il racconto di Zeppillo. “Appena terminata la partita e segnalato che il canestro non era valido, fui provvidenzialmente scortato negli spogliatoi da due addetti alla sicurezza. Dopo un po’ arrivarono gli ufficiali di campo, che non hanno mai aggiunto né a referto né a tabellone i due punti, e dopo un altro po’ Grotti, che non aveva la minima idea di cosa fosse successo. Gli raccontai io che il canestro non era valido e che il fallo era arrivato dopo. Quando mi chiese se fossi sicuro di quanto dicevo, gli dissi che avrei potuto giurarlo sulla tomba di mio padre”.
Gli indizi sono molteplici e convergenti: quel canestro non era valido, lo scudetto della Philips è legittimo. Non lo giuro come allora feci, ma ora ne sono convinto. Il punto è: può la parola di un radiocronista tifoso embedded essere credibile? No, non può. Perché lascia in chi la ascolta il dubbio che sia viziata da pregiudizi e appartenenze, anche se vi giuro (ahahah) che non è così. La ricerca sui fatti storici mi affascina, pur comprendendo che la verità assoluta è irraggiungibile per definizione. Tifare, cioè usare la pancia al posto del cervello, è ostacolo insormontabile rispetto a questa ricerca, per cui ho smesso di farlo. Me ne sono accorto tardi purtroppo, mea maxima culpa, ma come si suol dire, meglio tardi che mai. Forse è colpa anche di chi incoraggia versioni più sommarie e flessibili: lo chiamiamo “mercato”, ma alla fine siamo noi a non pretendere una vera informazione.