Tanti anni fa, Sadiq Jalal al Azm, filoso siriano, scrisse un libro nel quale rintracciava le radici del fondamentalismo nella disfatta araba del 1967. Se guardiamo la storia del Levante ci rendiamo conto che, dal 1967 in poi, si instaurarono in molti paesi arabi dittature “laiche e nazionaliste” che durarono oltre quarant’anni.
Questi totalitarismi – li chiamo così perché cancellarono a suon di genocidi e arresti ogni opposizione – furono digeriti dall’Occidente, in quanto davano stabilità (negli affari), a discapito della democrazia, ed erano “laici”, protettori dei cristiani. E’ proprio sulla pseudolaicità dei regimi e sul ruolo dei cristiani nel Levante che Riccardo Cristiano, giornalista Rai e vaticanista, dedica il suo nuovo libro Medio Oriente senza cristiani? Dalla fine dell’impero Ottomano ai nuovi fondamentalismi, edito da Castelvecchi, che vanta l’introduzione del vescovo di Mazara del Vallo monsignor Domenico Mogavero (un attentissimo culture del dialogo).
Riccardo Cristiano ci ricorda il ruolo che i cristiani hanno esercitato nella storia del Medio Oriente, a partire dalla fine dell’Impero Ottomano. Personalità del calibro di Amin Rihani (in italiano c’è uno dei suoi libri migliori, Il libro di Khalid, edito da Mesogea e tradotto da Francesco Medici) che spese tutta la vita per la causa araba: una nazione per tutti gli arabi costruita sullo stato di diritto.
Purtroppo, le idee di Rihani, come quelle di molti altri intellettuali arabi del primo 900, non si sono mai avverate. Tutto ciò è svanito a causa della colonizzazione e, dopo, dei regimi totalitari, a cominciare da quello della famiglia al Assad, che hanno disgregato il senso di cittadinanza, confessionalizzando la società grazie al divide et impera (come fecero i francesi al tempo della Grande Siria).
Di fronte a una società che vive uno sgretolamento di cittadinanza, per effetto della forzata settarizzazione in corso da mezzo secolo, il radicalismo non può che aumentare. Di conseguenza è nata fra i cristiani arabi, ma anche fra le altre minoranze, la “sindrome dell’albergo”, per cui parte di loro non si sente a casa propria nei loro paesi. Allora, per placare gli effetti di questa malattia, c’è bisogno di avere un garante per il futuro.
Serve un uomo della “provvidenza” che assicuri protezione e se in cambio chiede il silenzio su qualche crimine poco male. L’effetto è che le chiese d’Oriente si sono “strutturate su un sistema autoritario”, come ricorda Bernard Heyberger, professore dell’Ecole del Hautes Etudes en Sciences Sociales a Parigi.
Guardando la storia recente, prima della primavera araba, troviamo cristiani, come Padre Benjamin e Tareq Aziz, pronti a perorare la causa del “laico” Saddam Hussein o il papa copto Shenouda III che fece altrettanto per il laico Mubarak, sebbene sia stato proprio quest’ultimo a ordinare la strage di Natale ad Alessandria, il 31 dicembre 2010.
Si badi bene che non è solo buona parte del clero d’Oriente ad essere stato inglobato nel regime. Basta guardare all’Islam di Stato, colluso profondamente con i regime, che nei sermoni del venerdì benedice il presidente e le sue qualità, invitando i fedeli al silenzio (sui crimini).
In uno scenario così, le voci del dissenso, quelle favorevoli al dialogo, sono le prime ad essere isolate: incarcerate o uccise dai regimi e sconosciute o volutamente dimenticate da noi. Scorrendo la storia recente del Libano si trova facilmente il triste elenco di leader cristiani libanesi, contrari all’occupazione siriana e all’asse Iran – Siria, freddati in quel di Beirut fra il 2005-2006: lo scrittore Samir Kassir, l’editore Gebran Tueni, l’ex leader comunista Georges Hawi, il primo ministro Pierre Gemayyel, il deputato Antoine Ghanem. Tutti morti nel silenzio di chi ha preferito lo status quo a una prospettiva di cambiamento.
In Siria, nell’assordante silenzio durato fino al 2011, furono moltissimi i siriani cristiani rinchiusi nelle carceri del regime. Di questi disgraziati, parte del clero delle chiese d’oriente si volle scordare. Penso a George Sabra, cristiano e comunista, accusato di voler costituire un emirato islamico e incarcerato per anni; Mustafa Khalifa, cristiano anche lui, arrestato negli anni 80 con l’accusa di essere un estremista islamico – scontò oltre dieci anni in quell’inferno in terra che è il carcere di Palmira.
Oggi, tutto quello che è stato il controverso rapporto fra i regimi e le minoranze rischia di finire nel dimenticatoio. L’Isis ha fatto la sua comparsa, finalmente per Assad; visto che ha continuato a legittimare lo sterminio di massa con la scusa di combattere terroristi, mentre invece ammazzava migliaia di manifestanti pacifici nel 2011 e oggi bombarda indiscriminatamente le città.
Il Royal United Service Istitute, think tank britannico sulla sicurezza e la difesa, ha individuato quattro cause per l’esplosiva crescita dell’Isis negli anni scorsi. 1) La cinica manipolazione da parte del governo siriano degli estremisti, mettendoli nelle condizioni di combattere i nemici del regime. 2) L’uso di Hezboallah e di altre milizie filo iraniane, fomentando il settarismo che è stato sfruttato dall’Isis. 3) La politica settaria del primo ministro iracheno Nouri al Maliki, che ha forzato molti sunniti marginalizzati a unirsi all’Isis. 4) Il vuoto creato dal conflitto siriano e dal silenzio internazionale.
Ma è proprio sull’appoggio del regime siriano ai movimenti fondamentalisti che bisogna soffermarsi. Nel 2005, apparve la notizia che Muayed al Nasseri, comandate dell’armata di Mohamad, operante in Iraq, aveva confessato che “la cooperazione con la Siria era iniziata nell’ottobre del 2003, quando un ufficiale dei servizi segreti siriani lo contattò. Quando al Nasseri ricevette l’autorizzazione da Sa’ad Hamad Hisham, primo comandante dell’armata, attraversò il confine con la Siria e un colonnello, tale “Abu Naji”, e il mediatore, “Abu Saud”, gli organizzarono un meeting con Fawzi al Rawi”. Al Nasseri, nella sua lunga deposizione, disse che, dopo aver spiegato ad al Rawi quello che l’armata faceva, questi gli confermò che la Siria avrebbe finanziato la formazione islamista.
Nel 2011, nei mesi delle manifestazioni pacifiche, per spezzare il movimento pacifista, Bashar al Assad firmò un’amnistia nella quale vennero liberati centinaia di Jihadisti che andarono a formare i gruppi fondamentalisti oggi operanti nel paese. Perché un presidente “laico” firmi un’amnistia nella quale veniva concessa la libertà ai Jihadisti è facile spiegarlo. 1) La necessità di spaccare il movimento d’opposizione trasversale e pluri-confessionale. 2) La volontà di far si che la rivolta si armasse, così da poter legittimare agli occhi dell’opinione pubblica internazionale l’uso della forza. 3) L’aspetto propagandistico. Assad aveva da sempre detto alle minoranze, così da mantenerle legate a lui, “se me ne vado io arrivano i fondamentalisti”, mentre all’opinione occidentale lui doveva risultare il salvatore dei cristiani.
Grazie all’avvento dell’Isis, Assad è riuscito a distogliere l’attenzione. Oggi si parla solo dei crimini dello Stato Islamico. Gli aerei del regime siriano che sgancia barili bomba su Aleppo -sopra chiese e moschee, senza far distinzione di religione – sono scomparsi dai notiziari.
Mentre osserviamo gli avvenimenti a Kobane e le efferatezze dell’Isis, distraiamo, colpevolmente, lo sguardo dalla pulizia religiosa fatta nella valle dell’Oronte. Homs, Quseyr e altre città sono state svuotate completamente dalla loro componente sunnita. Mezzo milione di sunniti, rastrellati dalle milizie sciite e dalle forze para militari di Assad, si sono riversati in Libano.
Nonostante questo orrore qualcosa cambierà. Bisogna sapersi emancipare dal ‘sultano’ e non pensare più con la solita dicotomia “minoranza-maggioranza”. Penso alle recenti manifestazioni degli alawiti a Homs che invitavano i giovani alawiti a non arruolarsi nell’esercito di Assad perché questi sta usando la sua stessa setta per scopi personali, portandola alla rovina.
Penso a Papa Francesco che, appena sbarcato ad Amman, disse “Dio ci difenda dalla paura del cambiamento”. Questa breve frase da il senso di quanto il Papa abbia capito quello che sta succedendo in Siria e in Iraq. Invita i cristiani delle chiese d’Oriente a non avere paura, a farsi portatori del cambiamento, come lo sono stati nella storia araba. Oggi c’è necessità, interpretando questa frase del Papa, che non si accetti la protezione del “dittatore” di turno, ma di costruire società della convivialità (come ama dire Padre Paolo dall’Oglio).
Come ricorda Riccardo Cristiano, Amin Maalouf in un suo libro scrisse “O impariamo a costruire in questo secolo una civiltà comune alla quale ciascuno di noi possa appartenere volontariamente, rafforzando questo legame con valori consolidati dall’esperienza umana arricchita dalla nostra diversità culturale…o affonderemo in una comune barbarie senza fondo”.
Non vi può essere futuro senza reciprocità e libera condivisione.