Pensavo al mio recente viaggio al centro di ricerca della Nasa di San Francisco, al film Interstellar visto al cinema, al Planetario di Milano, e a una puntata dei Griffin in cui Stewie e Brian si trovano a vivere gli attimi che precedono il Big Bang.
Ecco, in un recente reportage ho fatto un resoconto su tutto quello che ho vissuto durante il mio giro alla Nasa, ma la cosa che mi è rimasta impressa per giorni è la prova sull’assenza di gravità che ti fanno vivere entrando in uno dei simulatori. Prima di entrarci, ti fanno una lezione teorica, una prova della prova (per capire se puoi reggere lo sforzo), e un esame sulle capacità di reazione. Poi entri nel simulatore, e rivivi in una sorte di navicella tutto quello che avviene realmente in orbita. E’ come aver avverato un sogno da bambino, diventare astronauta è tra le fantasie più belle che si possono avere. Ma per andare realmente nello spazio, certo, non basta una preparazione (seppur accurata) che ti riservano alla Nasa di San Francisco. Al contrario di quello che fanno vedere nel film Interstellar, in cui Cooper (il protagonista, Matthew McConaughey, coltivatore di mais in una cittadina sperduta, ex-ingegnere, ex-pilota), giusto perché gli capita l’occasione, parte per lo spazio.
Questo è solo uno dei momenti che hanno fatto ridere del film, oltre ai numerosi errori scientifici, ai buchi (sarebbe meglio dire, buchi neri) nella sceneggiatura, a frasi troppo tranchant sull’origine dell’Universo, e alla visione completamente di parte sul tutto. Penso che la scienza sia troppo difficile da rappresentare al cinema, e qualsiasi rappresentazione è di parte, è fatta secondo l’immaginazione di chi l’ha rappresentata, e quindi non è la mia. Il mio fastidio per il film Interstellar sta in questo: io immagino lo spazio, lo spazio-tempo, i buchi neri, il Big Bang, le altre galassie, Saturno, la relatività o la meccanica quantistica, come voglio io, e non come la immagina Nolan. Molti prendono il film come un trattato su quello che c’è da sapere sui vari argomenti che tratta, invece non è così. Perché quando esci dalla sala dopo la visione del film, le domande te le fai sulla sceneggiatura e non sulle varie teorie scientifiche.
Per sapere qualcosa di più sullo spazio, molto meglio andare a farsi un giro al Planetario di Milano. Lì, con fantasia e immaginazione, si viaggia veramente: e le domande sull’origine dell’Universo non faranno che aumentare. Il proiettore che usano è un planetario Zeuss modello IV in grado di mostrare 7200 stelle (6300 sono quelle visibili a occhio nudo nel cielo reale), i pianeti del Sistema solare, la via Lattea, alcune nebulose e ammassi stellari. Un sistema multimediale accompagna lo strumento principale con immagini sulla cupola. Le osservazioni guidate si svolgono il sabato e la domenica, ma il martedì organizzano incontri con astronomi e astrofisici. Altra cosa che consiglio sull’argomento è una puntata dei Griffin (non a stagione, episodio 16) in cui Stewie e Brian fanno un viaggio con la macchina del tempo a pochi istanti prima della nascita dell’Universo. E’ una puntata strepitosa. Stewie viene preso in giro da Brian e quindi decide di tornare indietro nel tempo quel tanto che basta per cambiare la sua risposta e far fare una brutta figura a Brian nel contesto in cui è stato ridicolizzato, questo lo porta a tornare indietro diverse volte per cambiare quasi tutto nella vita di Brian, finché non torna indietro al punto che neanche il Big Bang era ancora esistito.
La rappresentazione che viene fatta del continuum spazio-temporale lascia senza fiato, anche perché non c’è nessuna strada presa decisionalmente per amor di sceneggiatura, e quindi gli interrogativi sulle teorie che fecero nascere il Tutto non fanno che moltiplicarsi all’infinito nello spettatore. Comprese le riflessioni sulla vita, e sulla nostra esistenza. Ma tanto, come direbbe Cooper in Interstellar: io non ho paura della morte, ho paura del tempo.
P.s: Chiudo il post con un appuntamento: del tempo, della gravità, della morte, e quindi della vita, parla anche Giancarlo Giannini nel suo libro Sono ancora un bambino (ma nessuno può sgridarmi), edito da Longanesi, e da me curato; ci sarà una presentazione al Planetario di Milano domenica 16 novembre, alle 20.30, come evento di chiusura di BookCity. Saremo in tanti, ma c’è sempre posto per i più curiosi…tanto il tempo è relativo, figuriamoci lo spazio.