Una sbadata Los Angeles notturna dal traffico sfibrato accoglie nel suo ventre incidenti, sparatorie, rapine e omicidi. Nulla da eccepire finché non se ne accorge Lou Bloom (Jake Gyllenhaal) ragazzotto che vivacchia di lavoretti sporchi e curricula inviati ma notati quanto fantasmi al sole
È uno dei fenomeni mediatici del momento quello del citizen journalism. Comuni cittadini armati di telecamera riprendono eventi di ogni genere per passare il materiale a tivù private o siti d’informazione. Parte da qui l’idea dello sceneggiatore Dan Gilroy per lo sviluppo della sua prima regia. Una sbadata Los Angeles notturna dal traffico sfibrato accoglie nel suo ventre incidenti, sparatorie, rapine e omicidi. Nulla da eccepire finché non se ne accorge Lou Bloom, ragazzotto che vivacchia di lavoretti sporchi e curricula inviati ma notati quanto fantasmi al sole. Per Lou il dato utile di queste nere cronache metropolitane sono gli sciacalli dall’obiettivo pronto che ronzano nelle strade per trasformare in denaro l’immagine più cruda, il primo piano più eloquente del ferito grave o il racconto più dettagliato di testimoni ancora sotto choc.
La caduta valoriale del protagonista data da un mondo del lavoro che lo rifiuta in default, la fame di successo e la solitudine sviluppati nel tempo sono il suo vortice nero. E la mela avvelenata dal dolce denaro fornitagli dalla direttrice di un’emittente locale non è altro che la spintarella necessaria a saltare nel vortice con tutta la prosopopea di dominarlo. Lo stupro dell’etica e dell’umana sensibilità non viene soltanto da Lou, ma dalla direttrice di rete interpretata da Rene Russo. Il suo personaggio è interessato, ingordo e condivide con il protagonista di Jake Gyllenhaal cinismo e un’omessa ferocia votati a issare un dorato trampolino dal quale spingere nel vortice mediatico anche il pubblico.
I due attori contribuiscono egregiamente alla relazione distorta dei loro character creando con il regista un nuovo importante tassello di quel cinema che guarda alla televisione. Lo Sciacallo – Nightcrawler si potrebbe collocare tra la parte più marcia del mondo di Quinto Potere e la mangiatoia catodica senza soluzione di continuità di Truman Show. Gilroy evoca alcuni spazi notturni dipinti dall’iperrealista Edward Hopper cucendoci intorno una città al neon, spoglia e disillusa. Da questo punto di vista Nightcrawler è un lavoro esemplare che romanza uno spaccato sui media con un’amara metafora aleggiante sui nodi attuali della disoccupazione, e di quel succo malato a venirne fuori che è il mercenarismo. Non solo. Evidenzia l’obesità di certi media nel nutrirsi di cattive notizie tessendo bandiere di allarmismo da adagiare sul piatto del pubblico. Tutto al servizio di un thriller dai ricami polizieschi che fila nella sceneggiatura e non accarezza lo spettatore, raccapricciandolo invece in tanti modi che fuori dal cinema restano come spunti e interrogativi su ciò che guardiamo in tv.
Gyllenhaal è rinsecchito, dallo sguardo vitreo e pronto a mordere con la sua telecamera qualsiasi situazione disastrosa o truculenta. Tra dettagli su macchie di sangue e corse in auto, la sua ottima prova d’attore mette in piedi un giovane uomo agghiacciante, privo di simpatia ed empatia, isolato come un animale notturno e pronto a sfruttare a sua volta il suo driver, il bravo Riz Ahmed. Nei panni del più organizzato collega e concorrente di Lou è un Bill Paxton sempre bene in parte nei ruoli dell’ometto che sfrutta le situazioni per le sue piccole opulenze. Mentre la Russo è perfetta con il suo charme di donna al pixel sulla cresta dell’onda. Una commossa regina cattiva della tivù. Il taglio visivo che Gilroy confeziona ne potrebbe fare uno di quei film che per fattura, stile, contenuti e qualità restano attuali nonostante gli anni. Com’è diventato Quinto Potere, ancora attualissimo. Ma la risposta per l’esordio più che convincente del regista di Santa Monica si trova parecchi calendari più avanti.
Il trailer di Nightcrawler