No, il titolo di questo post non si riferisce ai miei turpiloqui del giovedì anche se ci starebbe pure. Parole, parole, parole… quante volte le parole si infilano nell’illustrazione editoriale e creano disastri. Quando un illustratore non è in grado di ideare una sintesi puramente visiva dell’articolo che deve illustrare, capita che ripieghi sull’utilizzo didascalico della parola. Un grande salvadanaio con su scritto “CONTRIBUTI”, un omino che solleva un macigno con la scritta “TASSE”, un altro che abbevera una pianta da un innaffiatoio con su scritto ”INVESTIMENTI”, chi non ne ha uno in casa?
Sono escamotage molto poco creativi. Va bene una volta nella vita, due… magari a Natale o quando si è in vacanza e non si ha voglia di lavorare ma siamo comunque ai limiti dell’illegalità. Ci teniamo tutti abbastanza lontani dall’inserire parole o loghi nelle nostre illustrazioni perché sono un segno di debolezza creativa.
Ma ieri, per la prima volta, ho tentato l’azzardo di inserire un testo nell’illustrazione per il Fatto. L’articolo è di Scacciavillani e parla di come il Potential output, ovvero il Pil potenziale, sia diversamente interpretato da differenti scuole di pensiero. Questa è l’immagine a cui sono arrivato:
Disegnando mi è venuto in mente Beppe Giacobbe, illustratore milanese del ’53, lavora al Corriere della Sera. Per quanto mi riguarda lui è il Supremo Re dell’Illustrazione Mondiale.
È l’unico illustratore sul pianeta che riesce a inserire dei testi nelle sue illustrazioni in modo originale e sempre attraente. Nulla in confronto ai miei disegnini.
Per Giacobbe il testo non è un’invadente scritta incollata sul disegno bensì fa parte del paesaggio, vive fisicamente nel contesto in cui è inserita. Forse Giacobbe non è il primo in assoluto ad aver sciolto il nodo della parola nell’illustrazione editoriale, ma è l’unico a risolverlo arrivando sempre a risultati freschissimi. Sul suo sito o sul suo profilo Facebook noterete molti esempi di questo tipo ma vi avverto, mettetevi una protezione per gli occhi, perché state per prendere un valanga di cazzotti sugli occhi.
Giacobbe ha uno taglio potente, rigoroso e preciso ma al tempo stesso le sue immagini hanno qualcosa di religioso. La visione di un suo lavoro per me è quasi sempre un’esperienza. Guardare una sua illustrazione è come immergersi nel silenzio di un un’antica cattedrale romanica, sentire i propri passi perdersi nel vuoto, lo scoppiettio di una vecchia panca in legno, inermi tra le linee imponenti delle volte, la solidità delle colonne e la maestosità dell’altare e sapere che lì, da qualche parte, è nascosta una preziosa reliquia. C’è qualcosa di magico e di potente nel lavoro di Giacobbe che mi emoziona sempre.
Tempo fa gli avevo chiesto di partecipare a una commemorazione collettiva a Sergio Toppi sul blog di Mosso, un magazine che curavo un po’ per gioco. Toppi è stato un gigante del fumetto e dell’illustrazione italiana. Non ho un solo amico fumettista o illustratore che non abbia in casa un suo volumone. È uno di quegli autori che ci hanno fatto un po’ da padre a tutti. A pochi giorni dalla sua scomparsa ci siamo sentiti in dovere di salutarlo disegnando tutti qualcosa in sua memoria. Beppe Giacobbe mi spedì questo splendido disegno.
Sull’ormai defunto blog di Mosso potete vedere i contributi di tutti gli altri amici geniali che si sono uniti: Bergamelli, Borgioli, Bruno, Dattola, Guasco, Lafirenza, Mannelli, Neri, Shout, Tambellini, Vincino, Pasquale La Forgia ed io. Sulla colonnina destra invece potete scaricare i pochi numeri che abbiamo fatto.
A giovedì prossimo.