Domenica torna in campo la nazionale italiana di calcio. La squadra allenata da Antonio Conte riprende il cammino di qualificazione agli europei 2016. La nazionale ha una sua storia che ci porta a Londra quando, esattamente 80 anni fa, il 14 novembre del 1934, l’Italia campione del Mondo di Vittorio Pozzo giocò in uno dei templi del calcio mondiale, Highbury, un match passato alla storia come la “Battaglia di Highbury”. Gli uomini in campo quel giorno, nonostante uscirono sconfitti dagli inglesi per 3 a 2 sono ricordati come “i leoni di Highbury”. Non è chiaro fino a che punto la retorica fascista dell’epoca sia riuscita a influenzare cronache e commenti di un incontro che pur essendo “amichevole” era un confronto fra scuole calcistiche diverse. I “maestri” inglesi sfidarono sul proprio terreno i vincitori di un Mondiale che loro avevano disertato. Per darci una lezione scelsero con cura la data, un giorno di metà novembre quando “la bruma rende viscida l’erba e il freddo pungente penetra nelle ossa”. Highbury è la casa dell’Arsenal, ma c’era molta Inghilterra allo stadio a spingere i padroni di casa. Nove azzurri su undici sono campioni del Mondo, con Ceresoli e Serantoni che sostituiscono Combi e Schiavio, che hanno lasciato il calcio quindi niente timori reverenziali.
La partenza però è scioccante: dopo un minuto di gioco l’arbitro svedese Ollson concede un rigore agli inglesi: Brook tira, Ceresoli vola e sventa. Appena 120 secondi più tardi Drake si avventa su Monti con un’entrata terrificante. Alluce fratturato per l’italo-argentino Luisito Monti, detto “doble ancho” (l’armadio a due ante), che subisce forse per “legittima difesa preventiva” l’entrataccia di Drake che lo costringe a rimanere fermo sul campo. Resta in piedi fino all’intervallo perché il regolamento all’epoca non contemplava “sostituzioni”. Il ritmo degli inglesi travolge l’Italia praticamente in dieci: all’8′ minuto Brook infila di testa su punizione e al 12′ bissa su calcio franco da una ventina di metri; ancora tre minuti e Drake segna il terzo gol. Si profila una sconfitta memorabile, la folla chiede altri gol, ma è a quel punto c’è la svolta: Ferraris si sposta al centro, Serantoni retrocede a mediano destro.
Il match cambia strada ma i commentatori dell’epoca, che hanno consegnato all’epica questa sconfitta diventata vittoria morale, raccontarono in maniera diversa i fatti che portarono a una rimonta mancata che sarebbe stata eccezionale comunque. Gianni Brera scrisse: “Qualcuno che è stato a Highbury nel 1934 mi racconterà di aver visto tutto fuorché calcio da parte italiana: calcioni, spintoni, cravatte, sputi in faccia (da parte di Serantoni; ma la nebbia fluttuante ha impedito al mio interlocutore di controllare i gesti di Allemandi e Ferraris IV). Racconto queste cose per non entrare nel novero dei piaggiatori: ammetto però di essermi esaltato a mia volta nell’ascoltare Carosio”. Il giornalista della Gazzetta Bruno Roghi: “Entra in campo un fiotto di luce accecante. E’ entrato il demone dell’intelligenza latina. Il gioco degli italiani respira, esplora il terreno, trova scatti elastici, idee limpide, geometrie vertiginose (…) La squadra italiana, rappresentante splendida del fascismo, ha detto con parole lucenti, che il gioco del calcio è prima di tutto un’arte”.
Probabilmente fu solo l’arte di arrangiarsi, di cui non difettano gli italiani visto che a fine partita, l’allenatore inglese commentò: “Il mio spogliatoio sembrava un ospedale. Drake aveva il volto tumefatto e una gamba sanguinolenta, Brook un braccio rotto, Hapgood, il naso rotto, Bowden una caviglia gonfia come un melone. Non è stata una partita, ma una battaglia”. La cronaca dei fatti della ripresa è tutta nella doppietta di Meazza che prima raccoglie e infila al volo un pallone lavorato da Guaita e Orsi, poi devia in rete di testa una punizione di Ferraris IV. Nel finale Orsi ha la palla del pari, ma sbaglia e allo scadere lo stesso Meazza colpisce una traversa. Leoni o no, la storia di allora ci porta all’oggi dove un po’ di orgoglio e grinta nazionalista non guasterebbe anche perché il” tempio” nel quale ospitiamo la Croazia racchiude anche quella storia perché si chiama Giuseppe Meazza.