Mondo

Iraq e non solo: se la Santa Sede influenza la politica estera

Si tratta di due differenti e distinti poteri. Da un lato l’Italia una media potenza e dall’altro la Chiesa cattolica, che tuttavia può essere considerata come una grande potenza per i riflessi anche politici del suo magistero, per le relazioni che la Curia intrattiene con tutto il mondo, per l’influenza che la Santa Sede esercita in seno alla comunità internazionale. Il Papa nel mondo rappresenta nel mondo circa 1 miliardo di cattolici. Il parere della Santa Sede sulle questioni internazionali è risultato in diversi casi anche contraddittorio.

Ad esempio la preoccupazione per il destino della comunità cristiana in Iraq messa in pericolo dall’avanzata dell’Isis, ha indotto il Vaticano a compiere una svolta politica pesante prediligendo un’azione militare necessaria. Monsignor Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite di Ginevra, in merito alla crisi irachena aveva dichiarato che: “E’ evidente che ci sia l’urgenza di difendere anche fisicamente i cristiani nel Nord dell’Iraq, provvedere all’aiuto umanitario – acqua, cibo – perché i bambini stanno morendo, i vecchi stanno morendo, per mancanza di aiuti alimentari. Bisogna intervenire adesso, prima che sia troppo tardi”.

Facendo però della dietrologia storica vediamo come le decisioni della Santa Sede nel passato abbiano anticipato anche il futuro di alcuni territori come ad esempio quello della Jugoslavia. E’ giusto notare che la Santa Sede si sia orientata a favore della spartizione della Federazione jugoslava ben prima di quanto non risulti dagli atti ufficiali. Cedendo infatti alle spinte separatiste che esistevano e si manifestavano anche in seno alla Conferenza episcopale jugoslava, il Vaticano aveva provveduto sin dal novembre 1991 a suddividerla in conferenze episcopali separate inglobando addirittura territori amministrativamente appartenenti a una repubblica o regione autonoma. Il caso più eclatante, ma non unico, fu quello della diocesi croata di Dakovo. Altre volte nella storia la posizione della Santa Sede è stata accomodante o comunque ritenuta ingiustificata dai revisionisti storici.

Il caso è quello di Pio XII che non si schierò mai apertamente contro il III Reich e allo stesso modo agì nei confronti di Ante Pavelić. Pacelli, dotato di una personalità molto più diplomatica e molto meno incisiva del suo predecessore Pio XI, si limitò a cercare di mantenere buoni rapporti con tutti. Una tecnica diplomatica che gli permise di non essere invaso dai tedeschi con l’obiettivo di costituire un grande schieramento pan-cattolico che fronteggiasse il pericolo dell’ateismo comunista della Russia. Certo le accuse mosse a papa Pio XII sulla questione ebraica di essere rimasto in silenzio di fronte all’olocausto nella Germania nazista fanno ancora oggi discutere. Accuse respinte dalle istituzioni cattoliche, che sostengono di avere un archivio segreto di circa sei milioni di documenti che dimostrano l’atteggiamento di accoglienza e misericordia dell’allora Pontefice nei confronti degli ebrei europei.

Oggi però Papa Bergoglio ha avvertito pubblicamente che “dobbiamo ricordare quante volte la scusa di fermare un’aggressione viene utilizzata dalle grandi potenze per asservire intere nazioni e condurre guerre e invasioni”. Un monito che arriva proprio dal Pontefice che prende il nome da San Francesco, che andò a parlare con il sultano d’Egitto Melek-El Kamel per fermare le crociate!