Sulla relazione tra eros e handicap mi sono interrogato tante volte, ma non credo di aver mai ricercato delle risposte, né tantomeno di averle messe nero su bianco. Lo faccio adesso dopo essermi confrontato con i miei colleghi educatori impegnati nell’assistenza domiciliare e scolastica a ragazzi disabili.

diritti sessuali dei disabili

Al tema dell’affettività e della sessualità nelle disabilità, la cooperativa che coordino ha dedicato spazio nel piano formativo 2014, perché intende proporre strumenti agli operatori ma, ancora prima, sondare prospettive e spazi possibili per parlarne. Al tempo stesso questa diventa l’occasione per imparare a stare nelle domande che gli stessi genitori dei ragazzi disabili ci pongono, accomunati spesso da un senso d’impotenza e da un sentimento di dolore. Domande come queste ruotano intorno a una questione di fondo e cioè: siamo pronti a riconoscere le persone disabili come soggetti di desiderio e non come portatrici di un corpo malato?

Se ho scelto di dedicare un post del mio blog a questo tema è perché ritengo che parlarne abbia prima di tutto un valore civile. Non mi preme trovare soluzioni, ma indagare, con l’aiuto di voi lettori, la natura delle barriere che, salvo rare eccezioni – penso all’esperienza della Città di Torino – hanno contribuito a generare un ritardo sia nella ricerca, sia nella pratica.

Ne è passato di tempo dal 1993, anno in cui l’Assemblea Generale dell’Onu pubblicava il documento che riconosce a tutte le persone con handicap, sia fisico sia mentale, il diritto di fare esperienza della propria sessualità. Di viverla all’interno di una relazione, di avere figli, di essere genitori, di essere sostenuti nell’educazione della prole da tutti i servizi che la società prevede per i normodotati e anche, non ultimo, il diritto a ricevere un’educazione sessuale.

Eppure gli stereotipi culturali che ostacolano il riconoscimento reale di questi diritti emergono ancora a ogni tentativo di socializzare il tema.

Se l’intento principale di ogni esperienza di accompagnamento per l’handicap è il miglioramento della qualità della vita e, come fondamento irrinunciabile, il concetto di massima autonomia e autodeterminazione possibile per la persona disabile, allora è altrettanto vero che tale presupposto non è applicato con lo stesso agio in ambito sessuologico. La sessualità rimane una dimensione dell’esperienza umana molto spesso esclusa dall’attenzione di chi affianca o vive con persone disabili.

Sarà anche (o soprattutto?) per questo che di affettività e sessualità nelle disabilità se ne parla fin dagli anni ’70, ma che a molti il tema appare ancora inedito? In fondo, se ne parla ciclicamente, cosicché il tema emerge in superficie per poi risommergere nuovamente e a lungo.

Forse la risposta è sin troppo semplice. Se non siamo pronti a considerare chi è affetto da disabilità non soltanto come un soggetto debole da accudire e da proteggere, ma come una persona, è ancora più difficile fare i conti con un’affettività, una fisicità e l’esigenza di relazioni degne di essere vissute, esattamente come accade per i cosiddetti normodotati.

Se così è, allora – come scrive Silvano Agosti«la tenerezza, la sessualità e l’amore devono stare sempre uniti insieme, esattamente come cuore, polmoni e fegato devono stare nello stesso corpo altrimenti si tratta di una persona o morta o invalidata.» Se ciò è vero è vero per tutti. Tenere separati questi aspetti – continua Agosti – rischia di continuare a produrre storture e infelicità.

E allora, le barriere che immaginiamo abbiano la tenerezza, la sessualità e l’amore nelle disabilità, altro non sono che proiezioni delle nostre raffigurazioni culturali, sociali, religiose e psicologiche.

La sessualità e l’affettività di per sé, non sono un problema per la persona disabile, possono diventarlo semmai per chi deve gestirle, educarle, accompagnarle.

Per capirlo basterebbe vedere anche solo il trailer del lungometraggio Sesso, amore e disabilità curato dalla dott.ssa Priscilla Berardi, leggere Apnea di Lorenzo Amurri, che disabile ci è diventato a seguito di un incidente, o L’accarezzatrice di Giorgia Würth che parla della figura dell’assistente sessuale, riconosciuta in altri Paesi, ma non in Italia. Al di là di come la pensiamo.

Quindi, diciamoci pure che parlare di affettività e sessualità nelle disabilità vuol dire semplicemente farlo entrando dalla finestra (della disabilità) anziché dalla porta (della nostra sessualità).

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Uk, addio a scuola all’insegnamento di tutte le religioni: “vince” il cristianesimo

next
Articolo Successivo

Marco Baldini, l’addio a Fiorello. E l’ipocrisia italiana sul gioco d’azzardo

next